giovedì 15 maggio 2014
Verso le elezioni europee. Intervista all'ex ministro: «Priorità immigrazione, lavoro e lotta all’evasione. Usiamo i fondi Ue per sgravi fiscali a chi assume giovani». Giovanni Grasso
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«So di essere in controtendenza, ma cre­do che, rispetto a quanto scrivono i giornali, dobbiamo distinguere gli eu­roscettici dagli eurocontrari». Franco Frattini, ex commissario Ue e per due volte ministro degli E­steri, ha scelto da tempo di lasciare la politica at­tiva. E dal suo nuovo ruolo di osservatore esper­to commenta: «Pensiamo al caso italiano: i due più grandi partiti, Pd e Forza Italia, aderiscono alle più importanti famiglie politiche europee, il Pse e il Ppe. Eppure nei fatti sono un po’ euroscettici. Guardiamo il Pd, la forza che si definisce la più eu­ropeista. Qual è il suo slogan? «Mai più lezioni da Bruxelles». Diciamo le cose come stanno: nessu­no che si dica europeista – e tra questi mi ci met­to anche io – sostiene che l’Unione Europea va­da bene così com’è. Una cosa diversa sono inve­ce gli euro contrari, come Le Pen in Francia, Geert Wilders in Olanda, o Nigel Farage in Inghilterra. Loro sono proprio contrari all’integrazione euro­pea. Ma persino la Lega, che vuole uscire sì dal­l’euro,  non è contraria all’Europa unita. Siamo tutti un po’ euroscettici insomma. Ma che bisogna fare per superare questo scetticismo? Indietro non si può tornare. Ma in questi anni di attività internazionale sono giunto alla con­clusione che c’è bisogno di maggiore integra­zione in alcuni settori, mentre per altri c’è ne­cessità di riportarli sotto la competenza dei go­verni nazionali. Può specificarli? Dove serve più Europa è nella politica estera e di difesa, nella politica energetica e nella politica bancaria, finanziaria e monetaria. Invece occor­re meno Europa in tutti quei settori che riguar­dano la storia, le tradizioni, gli usi e le consuetu­dini  dei singoli Stati sui quali, invece, sono state spesso dettate norme minuziose e capziose. Pos­siamo ancora pensare che Bruxelles si debba oc­cupare della definizione della mozzarella di bu­fala italiana o delle aringhe affumicate finlande­si? Non sarebbe molto meglio che l’Ue si occu­passe di avere un atteggiamento comune su que­stioni gravissime, come quella dell’Ucraina, o co­me la difesa della libertà religiosa, di cui non si sta più occupando? L’Europa ha avuto il Nobel per la Pace. Era un riconoscimento giusto, ma deve con­tinuare  a meritarselo. L’impatto delle crisi econo­mica sull’opinione pubblica significa soprattutto una co­sa: disoccupazione. L’Ue non può far nulla? Sul lavoro e sulla sicurezza so­ciale occorrono forme di con­sultazione e di collaborazione che arrivino a definire alcuni punti in comune, ma non si può pensare a una politica standard uguale per tutti. Il Welfare State che c’è nei Paesi scandinavi non potrà mai esserci nei Paesi come l’Italia, per una serie di ragioni, ma soprattutto perché la Finlandia ha 5 milioni di a­bitanti e l’Italia quasi 60. Tentare di omologare il sistema sarebbe un gravissimo errore. Dove biso­gnerebbe agire è per esempio sulla mano d’ope­ra, riducendo le disparità. Se un cittadino bulga­ro è disposto a lavorare per due euro all’ora e u­no italiano non a meno di sette, è chiaro che si creano all’interno dell’Unione forme di competi­zioni eccessive e aumenta il rischio di delocaliz­zazione  delle imprese. Allora non c’è nulla da fare? Ci sarebbe da fare un discorso serio sui fondi eu­ropei. È possibile che siano impiegati con una fi­nalità  comune? Perché l’Unione non decide di impiegare la fiscalità europea per operare sgravi fiscali agli imprenditori che assumono giovani? Sarebbe una misura comune di grande impatto, coerente del resto con il principio della libera cir­colazione dei lavoratori. E agire sulla leva del fiscale? È possibile un fisco europeo? Anche qui: l’aliquota fiscale unica europea, nel­le condizioni date, è una chimera, dato che esi­stono differenze tra Stati e Stati che arrivano persino a venti punti. Però si possono e si de­vono armonizzare le politi­che di lotta all’evasione fi­scale. Alcune norme prese dai governi nazionali, pensiamo alla limitazione dell’uso del contante che abbiamo in Ita­lia, diventano inutili o addi­rittura controproducenti se non vengono estese a tutti gli Stati dell’Unione. C’è chi dice che l’Europa co­sti di più dei benefici che produce. Non è affatto così. Il discorso è lungo. Mi limito a fare due esempi tra i tanti. Si ha un’idea dei costi che ogni singolo Stato e gli imprenditori dovreb­bero sostenere per ricostruire il sistema delle fron­tiere e delle dogane? E possiamo rinunciare al si­stema satellitare europeo Galileo? Forse non mol­ti sanno che Galileo è il più importante e il migliore sistema al mondo per la sicurezza, la meteorolo­gia, la protezione dalle catastrofi. Quanto coste­rebbe  il satellite italiano? La strage di profughi nel Mediterraneo è un bu­co  nero dell’Ue… È una gravissima emergenza umanitaria, come ci ha ricordato papa Francesco, e uno dei settori do­ve l’Europa è mancata del tutto. Quando ero com­missario,  demmo vita al programma Fron­tex: c’erano uomini e mezzi di 13 Stati eu­ropei a pattugliare il Mediterraneo. Con il tempo, Frontex è stato svuotato. Non è solo re­sponsabilità dei singoli Stati, ma anche delle re­gole d’ingaggio. Perché ora è stabilito che se i pro­fughi vengono salvati da una nave spagnola o i­taliana poi deve essere la Spagna o l’Italia a ospi­tarli. È chiaro che così non funziona. Serve la re­visione del Trattato di Dublino per ripartire e­quamente i profughi su tutti gli Stati dell’Unione. Il Mediterraneo è il confine di tutta l’Ue non de­gli singoli Stati che vi si affacciano. Sarebbe anche importante in questo dialogo tra civiltà aprire il sistema Erasmus, che tanto ha contribuito a for­mare coscienza europea nei nostri giovani, anche ai Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Ma le istituzioni europee non hanno necessità di riforme? È un discorso delicato, starei molto attento. Met­tere mano alle riforme dei Trattati significhereb­be aprire il vaso di Pandora dei referendum, de­gli scontenti nazionali, con il rischio di fare mol­ti  passi indietro. Ci sono voci che circolano sul fatto che né il can­didato del Ppe Junker né quello del Pse Schulz diventeranno alla fine presidente della Com­missione… Io invece mi auguro che il 26 maggio diventi pre­sidente della Commissione l’esponente politico più votato dai cittadini europei. Capisco che ci sono dinamiche complesse, tra gli Stati e tra gli stessi organi dell’Unione, Commissione e Parla­mento. Ma un cambio di cavallo, per quanto giu­stificato dalla necessità di un accordo tra i gover­ni, sarebbe uno schiaffo inaccettabile per un’opi­nione pubblica e che ha già pochi motivi di entu­siasmo verso l’Ue.
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