sabato 31 agosto 2013
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Pensa al partito, ma resta concentrato sul suo ruolo di premier e sugli obiettivi ancora da centrare. Enrico Letta va all’attacco. Detta le sue condizioni attraverso messaggi chiari, perentori, diretti. Avvisi rivolti ai detrattori esterni al governo ma anche a quella parte di maggioranza che minaccia a più riprese di farlo cadere a suon di diktat irricevibili. Il senso dell’intervento a tutto campo del presidente del Consiglio, alla festa dei Democratici a Genova, si coglie soprattutto in una frase: «A questo governo dò tutto, il sangue e l’impegno ma non è il governo per cui ho fatto la campagna elettorale».
Poche parole da cui traspaiono sia la voglia di continuare nel percorso intrapreso sia la sua appartenenza politica al Pd. Letta, poi, ribadisce anche la chiusura a ogni richiesta del Pdl sul voto per la decadenza di Berlusconi da senatore: «Non credo ci siano molti margini – spiega Letta – la separazione tra il piano politico e giudiziario è necessaria». Come a dire che sull’appuntamento chiave del 9 settembre non possono essere accettati ricatti di alcun tipo. Un concetto ribadito anche a tarda sera durante una cena in un ristorante genovese con i suoi collaboratori più fidati: «Non si governa a tutti i costi – confida Letta –. Non si può barattare la stabilità con la legalità». Anche perché non è questo il compito di una squadra di governo. «Se l’esecutivo si occupasse di altre questioni non farebbe il suo dovere – aggiunge il premier dal palco –. Chi crea connessioni improprie dovrà spiegare ai cittadini il senso di queste relazioni pericolose».
La location e la contemporaneità con l’intervento di Matteo Renzi da Forlì, spingono Letta ad affrontare anche i nodi sul presente e il futuro del Partito democratico. Anche in questo caso arriva subito una precisazione sulla sua posizione politica: «Alle prossime elezioni farò campagna elettorale per un governo di centrosinistra». Una dichiarazione che a molti suona come un annuncio, un’Opa su una candidatura a segretario, un antipasto della sfida con il sindaco di Firenze per la leadership. Poi però Letta frena e chiarisce che il cammino futuro del partito va tracciata su un terreno di «dialogo» e di «collaborazione». «L’unione interna è essenziale, concentriamoci sul progetto per l’Italia più che sulle regole – suggerisce –. Il partito deve fare un bel congresso, discuteremo e voteremo dei candidati, ma saremo tutti democratici. Non facciamo ragionamenti che ci portano al Dna del passato, guardiamo al futuro. Il Pd dovrebbe avere un segretario che si impegni a fare il partito democratico».
Lui per adesso è impegnato su altri fronti. La convinzione di Letta, anche in un momento in cui il termometro dello scontro nella maggioranza è ai massimi livelli, resta quella di chi non crede che si possa arrivare a uno scioglimento delle Camere.
L’asse tra il capo del Governo e il presidente del Consiglio resta forte, come dimostrano le parole di elogio con cui Letta ha commentato la scelta del «gigante Napolitano» di nominare i quattro senatori a vita. Alla grandezza del capo dello Stato, Letta contrappone le «formiche» che criticano le sue decisioni. Lo stesso giudizio negativo viene riservato a chi mette a rischio la tenuta dell’esecutivo. Un governo che il suo timoniere difende a spada tratta: «Questi quattro mesi non sono stati solo di compromesso ma hanno cambiato l’Italia». Certo, sono ancora tante le tappe da affrontare prima di tagliare il traguardo della crescita. A tenere banco sono soprattutto le questioni fiscali. La prima si chiama Iva. «Faremo di tutto per evitare l’aumento dal 21 al 22%». Il premier chiarisce inoltre che non ci sarà alcun aggravio sulle case sfitte. E la Service Tax, frutto del "compromesso" per il superamento dell’Imu, «costerà meno della tassa sulle prime case sommata alla Tares». Quando parla di misure concrete lo spirito di Letta sembra quello di un premier molto motivato, che vuole continuare a governare. Con il massimo sforzo, ma non a tutti i costi.
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