venerdì 7 febbraio 2014
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«Allora vi faccio questa proposta, visto che chiedete chiarezza sul rapporto tra Pd e governo: ne parliamo alla direzione del 20 febbraio». Matteo Renzi, dopo giorni di altalena, fissa in extremis, alla fine di una direzione di 4 ore, la data che sarà decisiva per le sorti dell’esecutivo-Letta. Sarà quel giorno, nel Parlamentino democrat, che si sceglierà tra Letta-bis e Renzi-uno. Una proposta che chiude una direzione strana, in cui l’ordine del giorno (la riforma del Senato e del titolo V) passa presto nel dimenticatoio. In cui i toni sono moderati, ma le parole taglienti. La minoranza democratica vuole a tutti i costi sapere cosa bisogna fare con il premier. E il segretario, che avrebbe volentieri inabissato il tema, chiude il cerchio: se ne parla quando l’Italicum sarà stato votato dalla Camera. Né più né meno di quello che si aspettava Enrico Letta, che nel suo intervento da semplice dirigente Pd - il quinto nella scaletta, tra Gentiloni e Fassina - scandisce la stessa tempistica: «La prossima settimana - quella in cui la legge elettorale sbarca a Montecitorio - sarà decisiva. Quello che succederà alla Camera determinerà il futuro delle riforme e del governo».Nella sua relazione introduttiva, Renzi tiene la linea di sempre: «Il rimpasto non lo chiedo, l’idea che uno vince il congresso e va a chiedere poltrone è roba da Prima Repubblica. Enrico vuole fare delle modifiche al programma e alla squadra? Le proponga nelle sedi istituzionali e politiche. Giochiamo a carte scoperte. Solo lui può dare un giudizio e fare scelte su questo esecutivo». Il segretario, insomma, sente di avere un altro ruolo: «Il nostro contributo al governo e al Paese è fare le riforme. È inaccettibile dire che il Pd pone problemi. Non li ha mai posti. Ha accettato provvedimenti discutibili, è stato leale anche quando il premier ci ha chiesto di difendere dei ministri». Parentesi chiusa. Si passa ad altro: al nuovo Senato, al titolo V, agli stipendi dei consiglieri regionali. E agli scenari politici che si aprono con l’Italicum: «La nostra vittoria è che il centro non esiste più. Non è vero che rischiamo di perdere per colpa della legge elettorale. Se Berlusconi vince con Casini e Bossi, significa che il problema siamo noi». Poi un accenno alle alleanze: «Immagino con noi una forza moderata e una a sinistra». Infine la stoccata ai deputati M5S: «Soffro per loro, sembrano prigionieri politici del blog di Grillo. Ma alcuni di loro sono pronti ad uscire»."Enrico" è lì, che ascolta. Quando arriva il suo turno è serafico come sempre. «Tutto voglio tranne che galleggiare. La crisi finanziaria è passata, ma la crisi sociale è pesantissima. Ce ne dobbiamo fare carico insieme. Dobbiamo essere una squadra, questo 2014 è una occasione irripetibile, il Pd può fare la storia». Poi un passaggio che sembra un’offerta di collaborazione al segretario: «Sulle riforme dobbiamo correre. Il Pd deve arrivare alle Europee con la legge elettorale e la prima lettura delle riforme».Entrambi troppo evasivi, dicono Cuperlo, Fassina, Orfini, Epifani nei loro interventi. E allora il segretario fa partire il conto alla rovescia: la direzione del 13 sarà sull’ingresso nel Pse, come previsto. Ma la settimana dopo, anziché accapigliarsi sul jobs act come previsto, ci si guarda negli occhi sull’esecutivo.

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