sabato 16 novembre 2013
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È una giornata a testa in giù, che inizia nel buio e finisce con un raggio di luce. Enrico Letta vive il venerdì più tumultuoso della sua storia politica alternando amarezze e speranze, delusioni e prospettive nuove. La sveglia quasi all’alba è turbata dalle anticipazioni sul giudizio negativo della Commissione Ue sulla legge di stabilità. Le ultime ore della sera sono segnate dall’attesa scissione tra Alfano e Berlusconi. La maggioranza. Tirando le somme, la conclusione del premier è una sola: «Ora, politicamente, siamo nettamente più forti. Possiamo correggere il Porcellum, chiudere la manovra senza intoppi, fare le riforme, rilanciare il bipolarismo e arrivare al 2015 arginando Grillo. E soprattutto la nostra forza, la nostra compattezza, cambierà il corso degli eventi in Europa».Parole che nemmeno erano immaginabili all’inizio della giornata. «Non sono uno da reazioni emotive – dice Letta, nel cuore della mattinata, mentre dinanzi agli occhi gli scorre il parere negativo di Bruxelles sulla manovra –. Ho ascoltato e preso nota, ma le sollecitazioni dell’Ue restano solo sollecitazioni. La nostra rotta non cambia, la legge di stabilità va avanti così com’è. E quei tre miliardi di flessibilità sul deficit li pretendiamo perché servono a rilanciare la crescita e ridare ossigeno all’occupazione».Il premier legge quasi con distacco i flash d’agenzia. Un titolo parla, senza giri di parole, di «bocciatura». «La Commissione ha usato criteri notarili e rigoristici e ha sbagliato – scuote la testa Letta –. Solo noi e la Germania siamo sotto il 3 per cento, avremmo meritato una fiducia maggiore. Anche in prospettiva. A Bruxelles deve tornare la politica, con questi atteggiamenti spalancano le porte ai populisti», ripete il premier senza mai cambiare tono. E senza mai lasciare la scena a irrazionalità e fastidio: «I mesi che verranno daranno ragione a noi e torto a Bruxelles. Abbiamo lavorato bene, abbiamo garantito l’equilibrio tra il rigore di bilancio e la necessità di stimolare la crescita».

Sembra proprio un brutto venerdì, di pioggia e cupezze. L’offensiva di Bruxelles si lega ai guai di casa nostra: l’atto d’accusa di Renzi e degli altri candidati alla segreteria Pd contro il ministro Cancellieri, il travaglio del Pdl, la scissione di Scelta civica. L’inquilino di Palazzo Chigi, nel primo pomeriggio, interviene alla Fondazione Merloni e non nasconde le difficoltà. «Serve un Paese ordinato anche dal punto di vista politico e istituzionale dove non sembri che ogni giorno ci sia un terremoto perché anche questo non aiuta», dice.Sembra una resa. Poi la svolta di Alfano. Preceduta da una fitta serie di telefonate tra il premier e il vicepremier. Mentre la scissione del centrodestra si concretizza riunione dopo riunione, Letta, sottovoce, ripete una sola parola: stabilità. E la lega alla missione che Angelino sta portando a termine. «Mi interrogo su quello che potrà succedere l’8 dicembre nel Pd. Se Renzi sarà segretario sosterrà davvero con decisione il governo? Lo farà anche di fronte a una scissione del Pdl?».

 Le domande si accavallano e poco prima che il "Nuovo centrodestra" sia ufficialmente nato, Letta sente di nuovo Alfano: «In Parlamento servono numeri che facciano passare a chiunque la tentazione del voto». La preoccupazione è soprattutto per la Camera, dove i renziani sono sulla cinquantina e il drappello alfaniano sembra ancora troppo ridotto, intorno alle 25 unità. «Enrico, la vera conta si fa dopo la decadenza...», replica con voce ferma l’ormai ex segretario del Pdl lasciando intendere che sinora molti sono rimasti sotto coperta, che lo smottamento vero arriverà dopo il voto del Senato sul Cavaliere. Numeri forti, veri, chiede Letta. Per resistere ad ogni incidente o pretesto. E che si facciano valere già sulla legge elettorale, sul tentativo di spaccare le larghe intese con il ritorno al Mattarellum. Alfano glieli assicura. E inizia una fase nuova. Il 2015 sembra di colpo più vicino.Caso Cancellieri. Il primo passo nel nuovo scenario sarà il voto di mercoledì sul ministro Cancellieri. «A oggi non c’è un solo motivo per ritirarle la fiducia. Voglio che il Pd sia compatto, che non si lasci trascinare dalla demagogia. La linea potrebbe cambiare solo di fronte a fatti sconcertanti che ora non vedo», dice ai "suoi" parlamentari perché portino il messaggio al resto del partito.Ma davvero il caso del Guardasigilli non sembra preoccupare più di tanto. Prioritario è invece incassare la manovra in Parlamento. Senza le minacce del Cavaliere, è il ragionamento, sarà più facile venirne a capo. E quello di Olli Rehn si ridurrà, è l’auspicio, ad un semplice avvertimento per spaventare i partiti e riequilibrare la bacchettata rifilata alla Germania nei giorni scorsi. Ciò non toglie che da domani "l’europeista" Letta, con una «vera maggioranza politica», userà a Bruxelles parole più pesanti e più dure.

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