venerdì 29 novembre 2013
​Il presidente del Consiglio non teme ripercussioni negative dalle primarie Pd: «Se vince il governo, vince anche Matteo. Ma non faccia l’euroscettico». Già al lavoro sul discorso da presentare alle Aule: «La buona politica si riscatti, torneremo leader in Europa». Per il momento lui e Alfano fanno muro contro il rimpasto, ma il tema è solo rinviato.
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​La notte sempre magica di Venezia stempera le parole dure di Renzi, Cuperlo e Civati. Enrico Letta le ascolta con attenzione, ma senza agitazione, con un occhio alla televisione e uno al Canal Grande. La replica è quasi un sussurro: «Matteo sbaglia ad attaccare sempre a testa bassa. Questo governo, quest’anno che abbiamo davanti, è un’occasione anche per lui, non solo per me e Angelino. E poi alla Camera e al Senato rischia di sbattere contro i gruppi parlamentari: non ha i numeri, dovrà mediare o le sue idee non passeranno». È l’unico accenno all’evento mediatico del giorno, al confronto tra i candidati alla segreteria Pd. Per il resto, la testa è già al discorso sul quale chiederà la fiducia alle Camere, probabilmente l’11 dicembre, giorno in cui già era prevista un’audizione a Montecitorio in vista del semestre europeo. E a sostenere la linea dei "tempi distesi" è anche il Quirinale, quando fa trapelare che dinanzi alle Aule non ci sarà una «verifica» bensì una «reinvestitura». Quasi un atto formale che non richiede nessuna corsa furiosa.Dunque si comprende perché Letta, lunedì, al Colle dirà che preferisce affrontare il nuovo voto di fiducia dopo le primarie. «Credo che la cosa più naturale sia di aspettare le primarie del Pd, sarebbe inusuale fare una corsa per avere la fiducia prima dell’8 dicembre», dice prima a Vilnius e poi, nel pomeriggio, al congresso di Venezia del Psi. Come a dire: è logico che il Letta-bis nasca già con un accordo con Renzi, altrimenti, se si votasse la settimana prossima, dopo pochi giorni ci si troverà di nuovo punto e a capo, con il governo sotto il bombardamento del nuovo segretario e costretto a dover iniziare una nuova logorante trattativa. L’11 dicembre invece è l’ideale, anche perché non darebbe al sindaco di Firenze il tempo di organizzare un eventuale "trappolone". E darebbe giorni a sufficienza ad Alfano per aumentare le sue truppe e rendere ancora più solida la maggioranza. Dalle parole di Letta sembra di capire che la nuova fiducia non sarà preceduta da formali dimissioni («Il passaggio in Aula serve per chiarire la posizione di Forza Italia», dice, dunque non per mettere in discussione la sua premiership). Né sarà accompagnato da un rimpasto. «Mi trovo bene con questa squadra...». Ma in realtà i consiglieri politici del premier fanno capire che un ritocco alla compagine ci sarà, e sarà proprio un modo per coinvolgere subito Renzi nelle sorti del governo. Aldilà dei sottosegretari forzisti in uscita («Non ho la posta invasa da richieste di dimissioni, stanno arrivando col contagocce», scherza il premier, e poi finora solo Miccichè ha fatto gli scatoloni, mentre il sottosegretario alle Infrastrutture Girlanda ha ufficializzato la volontà di passare con Ncd e restare al suo posto), aldilà delle «sostituzioni», occorrerà per forza prendere atto dei nuovi equilibri parlamentari, delle richieste di Scelta civica, della forza del sindaco di Firenze nel nuovo Pd, dell’eventuale scelta di Alfano di lasciare il Viminale per dedicarsi al partito. Ma è un tema che è meglio non anticipare per non alimentare appetiti e sospetti. Anche Angelino Alfano fa muro: «Niente rimpasto, il numero dei nostri ministri (5) è equilibrato».A sentire Palazzo Chigi, il capo dello Stato sembra dunque voler avallare la <+corsivo>road map<+tondo> del premier, nonostante le vibranti proteste di Forza Italia. «Letta subordina il Parlamento al congresso Pd, aspetta di farsi dare la linea politica da Renzi», è l’assalto di Renato Brunetta che vorrebbe un voto già la settimana prossima. Ma siccome a decidere la data è la conferenza dei capigruppo, Forza Italia subirà le scelte della nuova maggioranza.Quanto al nuovo programma, Letta sembra avere le idee abbastanza chiare. Restringerà il campo delle riforme a monocameralismo, legge elettorale, abolizione delle Province e finanziamento pubblico dei partiti (chiedendo che queste ultime due pratiche siano chiuse subito dalle Camere). Poi alzerà il tiro su lavoro e sviluppo, e probabilmente inserirà un grosso capitolo legato alla riforma della pubblica amministrazione. Elencherà le misure governative sul nodo carceri e giustizia civile. E spingerà sull’Europa, farà un ampio cenno all’asse con Parigi per allentare la morsa del rigore e rendere permanenti e larghi i margini di flessibilità sugli investimenti produttivi. «Dopo un 2013 in difesa, il 2014 sarà all’attacco. La fiducia - non chiamatela verifica, è brutto - segnerà una svolta», dice più volte durante la giornata.Anche davanti alla platea del Psi Letta si mostra fiducioso e sereno sui prossimi passaggi politici. «Se saremo a posto con i conti, se avremo il segno "più" sul Pil, l’Italia tornerà leader in Europa e cambierà l’Ue di questi ultimi cinque anni, che non ci è piaciuta affatto. L’anno prossimo – conclude – ci sarà la riscossa della buona politica». La precondizione, non lo dice ma lo si capisce, è che il governo vada avanti senza altri ostacoli interni ed esterni. Le due minacce, spiega il premier, sono «populismo e individualismo». Significativa questa chiosa, che sembra una frecciata al sindaco di Firenze che si è allineato al partito che contesta la regola del 3% sui conti pubblici: «Populismo e individualismo – insiste – possono distruggere la cosa pubblica, e poi sappiamo dove si va a finire...».

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