giovedì 11 novembre 2010
Elezioni sempre più vicine: il governo terrà fino all’approvazione della legge di stabilità. Poi in molti vedono la crisi. E dopo? Il premier avverte: se si cade c’è solo il voto. E si parla del 27 marzo. Napolitano: molte incognite e grande turbolenza chiunque sarà chiamato a governare pensi al Paese. Oggi faccia a faccia tra Bossi e Fini. E Fli avverte: se non sarà risolutivo via subito i nostri uomini dal governo. Il Pd: via alla raccolta delle firme per la sfiducia.
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«Ci sono molte incognite... C’è grandissima turbolenza, incertezza politica, tensione». Giorgio Napolitano fotografa con lucidità e con realismo un quadro politico sempre più compromesso. E ragiona, a voce bassa, davanti all’assemblea dell’Anci, sulle prospettive di un governo che sembra restare in vita solo perché l’approvazione della legge di stabilità è di vitale importanza. Tutti capiscono che il conto alla rovescia è cominciato. Tutti si rendono conto che anche il "faccia a faccia" atteso per oggi tra Gianfranco Fini e Umberto Bossi non riporterà il sereno. Il percorso sembra davvero tracciato: ci vorrà un mese per approvare la Finanziaria, poi la crisi sarà inevitabile. E dopo? Si voterà il 27 marzo come ripete il premier. O toccherà a un nuovo premier guidare un governo tecnico? Giorgio Napolitano parla e non esclude nessuna ipotesi. «Chiunque sarà chiamato a governare, ancora o nuovamente, dovrà fare i conti con i problemi concreti del Paese», ripete l’inquilino del Quirinale che non rinuncia a scandire l’ennesimo invito a «tutte le forze politiche di maggioranza e opposizione» a «dimostrare capacità propositiva» di fronte alle emergenze che rischiano di mettere in ginocchio l’Italia. Sono ore segnate dall’incertezza dove si accavallano vertici ufficiali e telefonate informali. E dove anche Gianni Letta, il consigliere più riservato del presidente del Consiglio, conferma i rischi. «Le prospettive di vita del governo sembrano essere brevi», ammette il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, dando quasi l’impressione di gettare la spugna: «Questo governo che rappresento pro tempore ha prospettive molto più brevi del 2020, e in queste ultime ore sembrano restringersi non ad anni, ma a periodi e misure di tempo più contenuti». Forse è davvero così. La pattuglia di Fli ruggisce e, Fabio Granata, uno dei "falchi", avverte: oggi, probabilmente subito dopo l’incontro tra Fini e Bossi, «se non succede nulla di nuovo, e non succederà nulla di nuovo, ritireremo la delegazione al governo». Carmelo Briguglio conferma: «Bossi è un mediatore di alto livello, ma se il percorso indicato da Fini non sarà seguito è chiaro che un minuto dopo la delegazione di Fli si ritirerà dal governo». Il premier è in Corea, al G20 in scena a Seul. E da lontano si informa sulle mosse degli ex alleati. E di un’opposizione che, per dirla con Dario Franceschini, chiede che «nell’interesse del Paese il sipario cali il più in fretta possibile». Ora le opposizioni vogliono dare il colpo di grazia. «Tutto quello che sta succedendo dimostra che il governo non c’è più», tuona Bersani che annuncia: «Stiamo raccogliendo le firme per sfiduciare il governo. Poi vedremo tempi e modi dell’iniziativa». L’obiettivo? Bersani è netto: «Rendere formale la crisi». Di Pietro applaude: «Finalmente. Siamo soddisfatti della decisione del Pd: la sfiducia a Berlusconi è l’unica cosa da fare». Berlusconi osserva, ma nelle ultime conversazioni private prima della partenza ribadisce l’unica linea: o si va avanti e si governa o si cade e si va al voto. Insomma non c’è l’ipotesi dimissioni. Non esiste. E Franco Frattini lo dice con chiareza: «Non abbiamo mai avuto, non abbiamo e non avremo mai delle opzioni alternative rispetto alle elezioni anticipate. Ma queste sono riflessioni politiche, poi ovviamente è il capo dello Stato che deve prendere le sue decisioni. Noi ovviamente abbiamo un’idea molto chiara. Però qui stiamo lavorando perché non si vada alla stagione delle elezioni e non perché ci si vada».
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