martedì 15 ottobre 2013
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​«Abbiamo dovuto procedere a tappe forzate, poco più di dieci giorni fa eravamo nel pieno di una crisi di governo. Non sarà un testo blindato, è importante che ci sia un’intesa forte sulle linee di fondo, poi lavoreremo con il Parlamento per migliorarlo...». Alla vigilia del punto di snodo del suo governo, il varo della legge di stabilità, Enrico Letta ha un’unica preoccupazione: frenare la valanga di critiche preventive che proviene dai sindacati, dalle imprese, dalle regioni. Mentre sotto la cenere cova il disappunto dei ministri "tartassati" come Lorenzin e D’Alia e dei partiti di maggioranza, tenuto finora a freno con molta fatica. «E ancora non c’è il testo vero...», commentavano ieri tra sarcasmo e preoccupazione da Palazzo Chigi.

Il premier e i ministri di primissima fila devono soffiare sul fuoco: «Aspettate domani, questi sono testi superati», dicono uno dopo l’altro Saccomanni, Franceschini, Delrio, D’Alia. Preannunciando una notte di febbrili trattative per ridurre l’impatto sulla Sanità e per provare a far crescere le risorse destinate ad abbattere il costo del lavoro. Lo stesso Letta resta distante da bozze e indiscrezioni, e si limita, a margine dell’incontro con il premier finlandese Katainen, a tracciare la filosofia di fondo: «La legge di stabilità darà certezze ai lavoratori per tre anni. Confermerà che il deficit e il debito scendono».

Eppure, nonostante la serenità manifestata, il premier è consapevole dei rischi che sono dietro l’angolo. E cerca di spuntare gli attacchi. Innanzitutto facendo leva, come al solito, sul sostegno del capo dello Stato Giorgio Napolitano: in mattinata, quando Letta e Saccomanni salgono al Colle per sottoporgli la ratiodel testo, incassano un sostanziale sostegno per «l’approccio innovativo ai temi più urgenti di politica economica». Anche il presidente della Repubblica, a sentire alcune indiscrezioni, avrebbe però invitato ad ammorbidire l’intervento sulla Salute, facendo proprio il grido dei governatori.La strategia del "congelamento" avviata ieri da Letta passa però per altri due tasselli fondamentali: l’intervento di Epifani sul Pd e quello di Alfano sul Pdl. Il segretario democrat si è già messo al lavoro convocando Franceschini, Fassina, Zanda, Delrio e il responsabile Economia del partito Colaninno, non solo per concordare le future modifiche, ma anche per attenuare la "reazione istintiva" al provvedimento. «È un testo che ha temi a noi cari – ha detto il premier ad Epifani in uno dei numerosi colloqui di giornata –, dal lavoro agli esodati alla cassa integrazione, va ad intaccare le pensioni d’oro e le rendite finanziarie. C’è equità...». Potrebbero essere argomenti convincenti per frenare il suo partito. Più complicato il ruolo del vicepremier azzurro, che dovrà far fronte ad un Berlusconi pronto ad alzare la voce di fronte a qualsiasi aumento di tasse, a partire dalla lievitazione dell’imposta sulle rendite finanziarie. I falchi sono già pronti a sferrare l’attacco, Brunetta si è di colpo ricollocato in una posizione critico-attendista, e i ministri Pdl hanno fatto intendere a Palazzo Chigi che il minimo errore potrebbe far perdere loro la maggioranza virtuale che si sono conquistati nel partito.Letta sa che il futuro dell’esecutivo dipenderà non tanto dal provvedimento in sé e per sé, quanto dall’accoglienza che riceverà da chi sinora ha perorato la causa della stabilità, industriali in primis: «Ci giochiamo tutto, le larghe intese passano di qui», ha ripetuto ieri nei colloqui con Alfano e Saccomanni. Chiedendo al primo un surplus di mediazione politica, e al secondo uno sforzo per andare incontro a Squinzi e alle imprese per sfrondare ancora i costi del lavoro, andando oltre i 5 miliardi previsti sinora. Ma è difficile, molto difficile.Allora diventa essenziale il messaggio al Parlamento, che suona più o meno così: il ddl stabilità, volenti o nolenti, deve essere licenziato, perché entro la mezzanotte il ministro Saccomanni deve inviare una mail a Bruxelles, come previsto dal Fiscal compact. Ma dopo si apre, a saldi invariati, una partita nuova che vedrà il governo aperto a ogni cambiamento utile. Ciò che conta è cogliere i due termini del provvedimento: «La crescita insieme al controllo dei conti, dopo anni di sola austerità, con miliardi veri a una prima sforbiciata fiscale». Se la "filosofia" passa, allora si spalancano definitivamente le porte verso il 2015. Altrimenti l’inquietudine convergente di Berlusconi e Renzi potrebbe addirittura riaprire la finestra di voto di marzo 2014, e stavolta senza che le parti sociali denuncino i rischi dell’instabilità.

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