martedì 30 aprile 2013
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Per non sbagliarsi, l’Enrico Letta che biblicamente si paragona a Davide che arma la fionda (le larghe intese, in questo caso) per fronteggiare la "crisi-Golia", ci mette dentro tutto. Il discorso con cui alla Camera mette in moto il suo «governo di servizio» è un campionario completo, tanto da sembrare prossimo a «un libro dei sogni» (lo rimarca subito Umberto Bossi). Quello che ci vuole per gettar via la corazza di vent’anni di "incomprensioni" fra i partiti. Le novità maggiori sono due, agli estremi opposti proprio per non scontentare nessuno: lo stop all’Imu di giugno ("ben visto" dal Pdl) e la «rivoluzione» del finanziamento pubblico ai partiti, partendo dall’«abolizione della legge in vigore», per strizzare l’occhio anche a sinistra.

Sono passati solo 17 mesi dall’analogo discorso che Mario Monti tenne in Senato, ma il tono è tutto diverso. Se il Professore predicava il rigore come "verbo assoluto", Letta sottolinea che «di solo risanamento l’Italia muore» e che «rinunciare a investire sui giovani è un suicidio economico, ed è certezza di decrescita». E poi l’Europa, architrave di ogni svolta: se il Professore guardava a Bruxelles come a una stella polare, il neo-premier 46enne rimarca che la Ue deve fare «scelte diverse». Perché diverse, e molteplici, sono le mosse attese. In 50 minuti, segnati da oltre 30 applausi, Letta le elenca tutte: la «prima priorità» del lavoro (per «uscire da quest’incubo di impoverimento»), con la riduzione della pressione fiscale per le imprese e sui nuovi assunti; poi il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali che vanno «estesi ai precari», la cancellazione dell’aumento Iva da luglio, l’impegno a un reddito minimo per le famiglie in difficoltà, una «soluzione strutturale» per quegli esodati con i quali è stato «rotto un patto», la soppressione delle Province, il superamento del precariato negli uffici pubblici, una modifica della "legge 92" (la riforma Fornero) che riduca le restrizioni ai contratti a termine. Non mancano riferimenti (anch’essi "cari" al Pdl) a Equitalia, che «non deve provocare brividi», e alla burocrazia che «non deve opprimere». Generici sono i riferimenti alla giustizia: in evidenza la «lotta alla corruzione» e a una «situazione carceraria intollerabile». Nessun accenno, invece, alla questione dei diritti civili.Tutto quello che Monti non disse, insomma, qui c’è. Obiettivi ambiziosi, per un esecutivo che «non ha intenzione di vivacchiare a tutti i costi», come precisa nella replica che chiude il dibattito. Anzi - ed è l’altra notizia di giornata -, Letta si dà una scadenza e la collega all’annuncio della Convenzione per le riforme costituzionali, da aprire anche a personalità che non stanno in Parlamento (tipo D’Alema?): «Tra 18 mesi verificherò se il progetto di riforme si avvia verso un porto sicuro. Se invece si impantana tutto, non avrei esitazione a trarne le conseguenze». La prima riforma, ovviamente, resta quella della legge elettorale (e «a titolo personale», precisa Letta, meglio sarebbe anche il ritorno al sistema precedente, il "Mattarellum"), poi va superato questo bicameralismo. Diciotto mesi, dunque, come orizzonte massimo per cogliere quell’«ultima opportunità» che il presidente Napolitano «ci ha concesso». Per «parlare il linguaggio della verità» e per far recuperare alla politica «decenza e sobrietà». Con meno fondi ai partiti (sui quali Letta parla esplicitamente di «leggi ipocrite e fallimentari» che si sono succedute) e un’altra novità, che «non ho anticipato neanche ai ministri – confessa il presidente del Consiglio –: la soppressione dello stipendio» per quelli che sono anche parlamentari (e Josefa Idem approva con un eloquente pollice alzato). Letta si mostra severo coi partiti: «Nessuno può sentirsi assolto dall’accusa di aver contaminato la politica con gesti, parole, opere e omissioni: ci sono stati 11 milioni di astenuti, sono il primo partito d’Italia, se non lo capiamo la politica è finita».Un primo passo di «responsabilità» è stato compiuto con questa "Grande coalizione" al via. Un’«eccezione», certo, che deve segnare però una svolta, perché «20 anni di attacchi e delegittimazioni reciproche hanno eroso ogni capitale di fiducia nei rapporti tra partiti e opinione pubblica, sempre più esausta delle risse inconcludenti». È qui che scatta la citazione, doverosa, di Nino Andreatta, il politico Dc che lo ha "svezzato": «Da lui ho imparato – ricorda – la fondamentale distinzione tra politica, intesa come dialettica tra diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni concrete ai problemi. Se ora ci concentriamo sulla politica, le nostre differenze ci immobilizzeranno. Se invece ci concentriamo sulle politiche, allora potremo migliorare la vita dei cittadini».L’analisi lettiana parte, dopo un ringraziamento a Bersani (e al suo «senso antico della parola lealtà»), dalla considerazione che la situazione dell’Italia «è ancora grave», oppressa da un debito pubblico che è «una macina». All’esecutivo Monti va un ringraziamento per aver costruito «la premessa» che ora può rendere possibile un’inversione. Di più: «Senza crescita e coesione l’Italia è perduta». Sono tempi difficili, che richiedono un equilibrio che non va compromesso: «Come italiani o si vince o si perde tutti insieme». È la battaglia che va combattuta mettendosi nei panni di Davide, quindi «spogliandoci dell’armatura che abbiamo indossato finora». E con una fionda da «prendere in mano insieme, governo e Parlamento». Sperando che il connubio duri.

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