mercoledì 11 luglio 2012
​Il Senato si dà dieci giorni. Preferenze, solo il Pd contro. Il Cavaliere: proporzionale, preferenza e premio al primo partito. Ma non molla la riforma delle istituzioni.
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​Sono saltati tutti gli schemi sulla legge elettorale. L’appello del presidente della Repubblica non sblocca per ora lo stallo creato dall’approvazione del Senato federale da parte di Pdl e Lega e anzi l’imminente varo del semipresidenzialismo per conto dell’ex maggioranza di governo rischia di far cadere nel vuoto gli auspici del Colle. Le buone intenzioni e la tabella di marcia votata dalla conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama, che concede 10 giorni alla commissione Affari costituzionali per presentare un testo da portare in aula, non sembrano facili da attuare, visto che il presidente Renato Schifani lascia nel calendario dell’assemblea la riforma costituzionale invisa a Pd, Udc e Italia dei valori. Quella stessa che obbligherebbe i senatori a pensare a una riforma del sistema di voto ben diversa dalla bozza Violante ormai tramontata. Insomma, i vertici dei partiti tornano a riunirsi per trovare una legge in grado di sostituire il "Porcellum", che con il suo premio di maggioranza e senza preferenze potrebbe portare in Parlamento un’ondata di "grillini" designati dal comico genovese. Nella serata di ieri lo stesso Silvio Berlusconi convoca i suoi colonnelli per vagliare il sistema proporzionale con premio di maggioranza e anche preferenze («La gente è l’unica cosa che chiede», confida rassegnato il Cavaliere), su cui troverebbe il consenso della Lega, ma anche dell’Udc, che – in questo caso – si allontanerebbe da un Pd che le preferenze slegate dai collegi uninominali proprio non riesce a digerirle. Ma per ora si tratta di mere esercitazioni.La battaglia consumata sempre ieri tra il presidente del Senato e quello della Camera, che chiedeva il trasferimento della legge elettorale a Montecitorio, frena ogni possibile contatto sul testo. L’iter della legge elettorale resta infatti incardinato al Senato. E in sostanza, la commissione chiamata a scrivere le nuove regole, dovrà farlo tenendo presenti le decisioni dell’assemblea e calibrandole sulla riduzione del numero dei parlamentari e sul Senato federale già passati con il voto di Pdl e Lega e tra le proteste degli altri partiti.Se dunque Pd, Udc e Idv pensano che non ci siano speranze per la riforma costituzionale, la stessa sorte potrebbe toccare alla legge elettorale. Per questo Gianfranco Fini aveva fatto pressioni per portare la legge alla Camera, svincolandola dalla riforma costituzionale. Ma Schifani non ha accolto la richiesta del collega né quella dei partiti che volevano accantonare la legge costituzionale per mandare avanti quella elettorale. Insomma, allo stato i passi avanti fatti nel dialogo tra partiti si azzerano e si torna alle discussioni all’interno delle segreterie. «Ognuno ha le sue idee e si vedrà...», taglia corto il leader Udc Pier Ferdinando Casini, che non intende prescindere dal modello proporzionale e dalle preferenze.Due ipotesi che sembrano convincere anche Lega e Pdl. Pier Luigi Bersani, al contrario, paragona la scelta di un sistema simile a un guado «tra Tangentopoli e la Grecia. Noi – dice il segretario del Pd – siamo disponibili a confrontarci su altre soluzioni, purché garantiscano che la sera delle elezioni si sappia chi governa e che l’elettore guardi in faccia il parlamentare». Ma sulle preferenze la linea del Pd potrebbe ammorbidirsi, pur di riaprire la partita. E allora, per la capogruppo Anna Finocchiaro, sarebbero «un rimedio estremo».
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