mercoledì 7 agosto 2019
Giovani e famiglie a fianco dei 14mila rifugiati bloccati sulle isole greche
Vacanze solidali dei volontari di Sant'Egidio tra i profughi di Lesbo e Samos
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Dieci giorni delle proprie ferie in Grecia. Per dare una mano a chi in Grecia ci è arrivato per disperazione. E dispera di poter mai partire. Sono i volontari della Comunità di Sant’Egidio - italiani, ma anche belgi e portoghesi - che dal 20 luglio al 31 agosto si stanno alternando in turni di dieci giorni, con i mediatori culturali, per aiutare i 14mila profughi nel limbo delle isole di Lesbo e Samos, avamposti greci davanti alla Turchia. Grandi tavolate per cene festose. E poi corsi di inglese, animazione e giochi per i bambini. Per chi vuole, la messa domenicale. Un grande lavoro di dialogo e intermediazione, per abbassare la conflittualità e favorire l’integrazione tra nazionalità. Moltissimi afgani, poi iracheni, siriani, kuwaitiani. E tanti africani: Etiopia, Eritrea, Angola, Congo, Costa d’Avorio, Togo.

La situazione è problematica, racconta Daniela Pompei, responsabile del servizio a migranti e rifugiati e all’integrazione di Sant’Egidio: «Nell’hot spot di Lesbo che servirebbe solo per l’identificazione – dice – si staziona per 8 o 12 mesi, a volte anche due anni. Migliaia di siriani sono stati trasferiti in Turchia dopo gli accordi tra Ue e Erdogan. L’agognata meta è Atene». «Gli accordi di ricollocamento in altri paesi europei funzionano col contagocce », dice Pompei. Nell’hot spotda 2mila posti di Moria vivono in 6mila. Altri 1.900 sono nel campo di Kare Tepe. Poi nella cittadina di Mitilene 200 minori non accompagnati, ospiti in abitazioni in muratura. «Ma ci sono anche ragazzi Down, bambini cardiopatici, anziani in carrozzella».

A Samos vivono altri 5mila profughi: 1.500 nell’hot spot da 800 posti, gli altri accampati nella collina adiacente, detta 'la Jungla'. «Nel 2015 arrivarono in Grecia 815mila profughi rifugiati – ricorda la responsabile del progetto – e a Lesbo quotidianamente 300 barche». Ora 'solo' un centinaio di persone al giorno. I profughi dall’Afghanistan sono oltre la metà. «E ricominciano ad arrivare siriani, in fuga da Idlib».

Ma lo sbarco non è la meta, solo l’ingresso in un limbo deprimente. Ad aprile la prima visita esplorativa di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità. Poi a maggio Sant’Egidio torna, con l’elemosiniere della Santa Sede, cardinale Konrad Krajewski, e l’arcivescovo del Lussemburgo Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità Europea. Sulle isole ci sono già alcune Ong, come Medici senza frontiere. Ma non basta. E parte il progetto delle vacanze solidali.

I volontari di Sant’Egidio - giovani e famiglie - si pagano viaggio e alloggio. «Per le attività abbiamo avuto donazioni, dalla Santa Sede e dalla tedesca Kinder Mission. Abbiamo organizzato grandi tavolate, anche da 500 coperti, perché lì non mangiano mai seduti. O in piedi alla distribuzione dei pasti, o accovacciati in tenda. Alle cene mettiamo musica, afgana o africana. Abbiamo fatto anche una serata italiana - sorride Daniela Pompei - con pasta al ragù e panzanella. Un grande successo». I profughi siedono mischiati, non divisi per nazionalità.

«Molti si stanno offrendo come volontari». Due mattine a settimana c’è la Scuola di pace, attività e giochi per i bambini, che sono il 40%. Il sabato gite in pullman, per visitare gli antichi monasteri o il museo di pittura. «La domenica portiamo nelle parrocchie 150 ragazzi africani cattolici». Ora Sant’Egidio vuole coinvolgere nel volontariato ragazzi greci. Per far sì che questa stagione di speranza non finisca il 1° settembre.

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