sabato 5 ottobre 2019
Nata da un blog controcorrente, la forza anti-sistema è diventata un partito perfettamente incardinato nelle istituzioni e nella politica
Le tante giravolte di una creatura ancora grillina
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Oggi chi sarebbe in grado di dire – ovviamente senza chiedere aiuto a 'Google' – quali sono le 5 stelle del M5s? Persino qualche parlamentare pentastellato, nonostante la militanza politica, rischierebbe di essere colto impreparato dal quesito da quiz televisivo. Per la cronaca, la risposta è 'acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo'. Tutte tematiche che rappresentavano i cavalli di battaglia della creatura di Beppe Grillo e di Gianroberto Casaleggio. Si trattava di questioni talmente sentite, agli inizi, da essere richiamate addirittura nel nome del Movimento. Adesso, invece, al di là delle dichiarazioni di facciata e di programmi di governo in cui si prendono impegni un po’ su tutti i fronti, tali argomenti sono diventatati marginali nell’azione politica. Ecco, il 'test delle 5 stelle' è indicativo della trasformazione radicale avvenuta nel M5s nei suoi primi dieci anni di vita. Il Movimento che il prossimo weekend a Napoli festeggerà, con una kermesse organizzata ad hoc, il suo primo compleanno a doppia cifra, non è neanche un lontano parente di quello fondato il 4 ottobre del 2009 al teatro Smeraldo di Milano. Nata da un blog controcorrente, la forza anti-sistema è diventata un partito perfettamente incardinato nelle istituzioni e nei Palazzi della politica. Tanto che viene da chiedersi se è rimasto ancora qualcosa di quella macchina del consenso partita in Rete e cresciuta nelle piazze tra 'vaffa' e slogan anti-casta. Anche il motto 'uno vale uno' e le riunioni in diretta streaming sono etichette e costumi del M5s che fu.

La coerenza non si è certo rivelata una qualità distintiva dei grillini. Nessuno pensava che la fase della rendicontazione degli scontrini e del grido 'o-ne-stà' durasse in eterno. Così come era scontato che l’ingresso a Montecitorio e a Palazzo Madama avrebbe modificato atteggiamenti e priorità di chi rifiutava l’appellativo di 'onorevole', preferendo essere chiamato 'portavoce'. Le giravolte che pesano, tuttavia, sono ben più sostanziali di una ricevuta o di un epiteto. Basti pensare alle retromarce ambientali (dal Tap alla Tav passando per l’Ilva) fino ad arrivare a norme interne cambiate già più volte. Non tutte quelle che luccicano, del resto, si sono rivelate regole auree. E persino il tetto dei due mandati in Parlamento, forse l’ultimo baluardo, era sul punto di cadere la scorsa estate se non fosse nato l’esecutivo giallo-rosso. Già, le alleanze. Il mutamento più interessante del decennio pentastellato è rappresentato proprio dalla disponibilità a stringere accordi politici con gli altri partiti. Si è passati dal rifiuto categorico di qualunque intesa nel 2013 («Nessun inciucio», era il refrain) a un M5s capace di governare per 14 mesi con la Lega di Salvini e immediatamente dopo con Pd, Leu e la neonata Italia Viva di Renzi. L’apertura al confronto con le altre forze politiche e la recente attitudine alla mediazione nelle trattative, tuttavia, sono segnali di maturità apprezzabili di un Movimento che è uscito dal blog e non vuole chiudersi nella 'piattaforma Rousseau'.

Dentro quest’ultima metamorfosi, infatti, si nasconde la vera sfida futura. Se il governo nato a settembre riuscirà davvero a dare risposte adeguate ai bisogni e alle priorità del Paese, probabilmente i 5 stelle non pagheranno dazio per le loro svolte politiche al termine della legislatura. Al contrario, se l’azione di Palazzo Chigi si rivelerà inefficace e deludente, il Movimento rischia di risultare 'irriconoscibile' agli occhi della base grillina della prima ora e, contemporaneamente, incapace di essere attrattivo per un nuovo elettorato di massa. Insomma, il bivio è tra il rilancio e l’oblio. Non a caso Beppe Grillo è stato il primo (e l’unico) ai vertici dei 5 stelle a comprendere quanto fosse importante cogliere l’opportunità di dar vita a un nuovo esecutivo dopo la rottura con la Lega. Mentre Luigi Di Maio e Davide Casaleggio ancora nicchiavano alla sola idea di un abbraccio con Pd e renziani, il garante ha indicato la rotta da seguire parlando di «occasione storica» per portare l’Italia nel futuro e, in chiave interna, per risollevare un Movimento uscito sfibrato dal matrimonio di interessi con Salvini. Non più capo politico, fuori dalla cabina di comando e riluttante ad occuparsi di grane interne, anche a distanza il comico genovese si conferma il vero leader della sua formazione politica. Ecco perché a dispetto di incarichi ricoperti, passi di lato e uscite di scena, pensare a un M5s senza Grillo è come immaginare un’isola senza mare. Oggi come dieci anni fa sono ancora una cosa sola.

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