giovedì 14 luglio 2022
La "non fiducia" di M5s al Senato rispolvera il lessico tipo delle crisi di governo: parole che però, per i non addetti ai lavori, possono sembrare di difficile comprensione...
Il presidente del Consiglio Mario Draghi e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Il presidente del Consiglio Mario Draghi e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - Ansa

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Nelle prossime ore si concretizzerà la "non fiducia" al Senato del Movimento cinque stelle, atto che darà inizio a una serie di "liturgie" tipiche delle crisi di governo.
A muovere tutto è la FIDUCIA, ovvero il rapporto che lega governo e Parlamento. Un governo esiste finché ha la FIDUCIA delle Camere, espressa da una maggioranza di gruppi parlamentari che si riconoscono in un programma e nei provvedimenti adottati dall'esecutivo. Nel caso specifico della crisi M5s-Draghi, si verificherà una situazione non frequente: il governo avrà ancora tra le mani la fiducia parlamentare in entrambe le Camere, ovvero avrà ancora una maggioranza numerica che lo sostiene, ma si ritroverà con una componente in meno, fatto che modifica la natura politica e della maggioranza e dello stesso governo. Se a fronte di una fiducia numerico-parlamentare Mario Draghi potrebbe legittimamente andare avanti, dal punto di vista politico si trova invece costretto a prendere atto di un fatto nuovo: la maggioranza da cui ha ricevuto il mandato a governare a inizio febbraio 2021 non esiste più.

Da qui nasce l'ipotesi delle DIMISSIONI. Ovvero: Mario Draghi, preso atto che la maggioranza di febbraio 2021 non esiste più a causa della "non fiducia" di M5s al Senato, si recherebbe al Colle a conferire con il capo dello Stato Sergio Mattarella. Il premier potrebbe presentare le proprie dimissioni ritenendo ormai esaurito il mandato ricevuto quasi 18 mesi fa: con una maggioranza straordinaria di larghe intese che va da M5s alla Lega, passando per Pd, sinistra, centro e Forza Italia, condurre la campagna vaccinale, redigere il Pnrr e realizzarne gli obiettivi secondo le scadenze concordare con l'Unione Europea. Venendo a mancare quello che in origine era il partito di maggioranza relativa in Parlamento, Mario Draghi potrebbe ritenere che le ragioni del suo impegno sono finite.

A quel punto il protagonista della crisi diventerebbe il capo dello Stato Sergio Mattarella, il quale dovrebbe prendere le sue decisioni a fronte di una situazione ibrida: Draghi e il governo non sono "sfiduciati", prima quindi di accettare le dimissioni, il capo dello Stato potrebbe chiedere una VERIFICA in aula per PARLAMENTARIZZARE LA CRISI. Potrebbe cioè rinviare il presidente del Consiglio dinanzi alle Camere, anche solo dinanzi al Senato, per verificare in un dibattito trasparente se la "non fiducia" di M5s è legata solamente al dissenso sul decreto-Aiuti o se invece la scelta di uscire da maggioranza e governo è definitiva. A seconda dell'esito della verifica poi si svilupperebbero le tappe successive. Potrebbe accadere, per ipotesi, che M5s rivoti la fiducia al governo, oppure che in aula si delinei il volto di un'altra maggioranza che vuole arrivare sino in fondo alla legislatura, oppure potrebbe emergere un blocco di forze politiche - il centrodestra unito, ad esempio - che non accetta nuovi accordi e preferisce andare al voto, rendendo impossibile la formazione di nuove maggioranze. Dalla verifica, dunque, si capirà allo stesso tempo il futuro del gioverno, di M5s, di Draghi e della legislatura. La scadenza naturale della legislatura è fissata nella primavera del 2023, se nella verifica dovesse prevalere la voglia di voto anticipato si andrebbe verso le urne a fine settembre-inizio ottobre. La spada di Damocle sarebbe la manovra economica, che va varata entro il 31 dicembre 2022.

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