domenica 8 maggio 2016
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ROMA «Ma allora le aule di un Tribunale sono fatte così? E secondo te, dove si siede l’imputato?». Al pianterreno dell’edificio della Corte d’Appello di Roma, un serpentone di studenti cerca di prendere posto in una delle aule d’udienza, dove invece di un processo, sta per iniziare un dibattito. Ragazzi e ragazze ascoltano attenti, senza sfiorare i telefonini, le parole di Caterina Chinnici, europarlamentare e già magistrato, figlia di Rocco, giudice istruttore a Palermo e collega di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ucciso da cosa nostra nel 1983. «La lotta alla mafia è difficile, ma è indispensabile combatterla – dice l’eurodeputata, fissando i ragazzi –. Dobbiamo riuscirci tutti insieme, non possiamo accettare che il sacrificio di tante persone, compreso mio padre, sia stato vano». Accanto a lei, il comandante dei Carabinieri del Ros Giuseppe Governale e il direttore dei poliziotti dello Sco, Renato Cortese, annuiscono convinti: «La mafia minaccia la nostra società da tanto – dice Governale ai ragazzi –. Nel 1927 un maresciallo dell’Arma la descrisse come un mostro con corpo di balena e testa di pescecane. Oggi è un camaleonte, si mimetizza nell’economia». Nella cittadella giudiziaria della capitale, non è un sabato come gli altri. Nei corridoi e fra le aule si muovono, ordinati e nemmeno troppo vocianti, 1.400 studenti di 54 scuole superiori del Lazio, con indosso magliette colorate con la scritta «portatore sano di legalità». Uno di loro ha ricevuto il codice penale di Falcone per consegnarlo a Palermo, il 23 maggio, giorno della strage di Capaci. C’è pure un centinaio di scout dell’Agesci, per guidare i ragazzi lungo 27 percorsi, verso gli incontri con 200 magistrati, avvocati, notai, esponenti politici, rappresentanti delle forze dell’ordine e volti noti di cinema, sport e musica, che andranno avanti fino a mezzanotte. È la «Notte bianca della legalità », maratona ideata dall’Associazione nazionale magistrati di Roma e Lazio per avvicinare i giovani al mondo della giustizia. Sul palco, introdotti dal giudice Giacomo Ebner, parlano i ministri Andrea Orlando e Stefania Giannini: «Affermare se stessi è un diritto fondamentale – spiega la titolare dell’Istruzione – ma deve combinarsi con il rispetto delle regole di convivenza civile». Mentre il Guardasigilli osserva che «i mafiosi sono nemici della democrazia, avversari della nostra idea di Stato». Sulla manifestazione aleggia solo in parte la tensione di questi giorni fra toghe e politica: «Il magistrato può esprimersi nei limiti della correttezza, del buon gusto e della buona educazione », chiosa asciutto il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Le ore scorrono, insieme alle iniziative. I ragazzi assistono al film «Non essere cattivo », del regista Claudio Caligari, accompagnati da Serena Dandini e Massimo Wertmuller: «Credetemi, chi prende scorciatoie disoneste, prima o poi finisce male», ammonisce l’attore romano. Altri studenti osservano la simulazione di un processo. «Per me, il rispetto delle regole si vede fin dalle piccole cose», considera Stefano, studente del liceo Spallanzani di Tivoli. Due passi più in là, il magistrato-scrittore Giancarlo De Cataldo, autore di «Romanzo criminale», afferma: «La repressione è solo uno degli strumenti necessari, la chiave fondamentale è l’istruzione. Partendo dalle scuole si può creare una vera cultura di antagonismo civile alle mafie». Fra i giovani, il consumo di stupefacenti è un rischio diffuso. A loro si rivolge la 33enne Giorgia Benusiglio: «Pensate che la droga sia dannosa solo se se ne abusa? Io, a 16 anni, ho dovuto subire un trapianto di fegato per aver ingerito mezza pasticca di ecstasy. Anche una sola volta può segnarvi per sempre, siate responsabili». E don Antonio Coluccia – che in una villa sequestrata a un boss della banda della Magliana ha fatto crescere una casa famiglia dell’Opera don Giustino – sottolinea: «Il cambiamento siamo tutti noi, dobbiamo esserlo, perché il mondo corrotto vuole rubarci il futuro». È ormai buio, ma la notte bianca va avanti nei cuori dei ragazzi: «Non finirà – conclude Marco –, perché la legalità la porteremo nelle nostre vite, anche fuori da qui». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il reportage Caterina Chinnici, figlia del giudice ucciso dalla mafia, e il procuratore nazionale Franco Roberti con alcuni studenti
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