
L'ultima azione di Greenpeace a Ravenna - Greenpeace
Tra le vittime dei conflitti in corso e del loro acuirsi ce n’è un’altra, ancora poco raccontata: la transizione energetica che dovrebbe frenare la crisi climatica. Le guerre hanno infatti messo a rischio le rotte del petrolio e del gas e il risultato è che nel 2025 si spenderà di più in missioni della Difesa italiana, con una forte spinta a questo aumento data soprattutto dalle missioni che tra i loro obiettivi hanno la protezione delle fonti fossili, come piattaforme petrolifere, gasdotti e rotte commerciali da cui passa il Gnl. Il tutto nonostante gli accordi di Parigi e gli appelli degli scienziati sulla crisi climatica. Lo racconta ad Avvenire in anteprima Greenpeace Italia, che ha elaborato un nuovo report sulla spesa italiana per le missioni militari a tutela delle fonti fossili. «Rispetto al 2024 è aumentato il totale che viene speso nelle missioni di Difesa, passato da più di 1,3 miliardi di euro a oltre 1,4. Ma cresce anche quanto di questa somma viene investito in quelle che noi chiamiamo missioni “fossili”: da 840 milioni di euro si è arrivati agli oltre 904 del 2025, una cifra che cresce di anno in anno ormai dal 2019», ci spiega Sofia Basso, autrice dell’analisi e referente di Greenpeace per la ricerca e le campagne su pace e disarmo.
Le missioni fossili assorbono dunque il 61% del budget totale delle missioni. «La correlazione tra l’aumento di quanto si spende per la tutela del fossile, che per inciso andrebbe invece abbandonato, e le tensioni in queste aree geografiche è evidente. Basti guardare, che cosa è successo quando è stato colpito il Nord Stream, quando l’Italia ha proprio istituito un’operazione che si chiama Fondali sicuri in cui si monitorano i principali gasdotti, o ancora dov’è il grosso dell’aumento che abbiamo osservato, ossia nell’area del Canale di Suez, area in cui transita l’import italiano di greggio e il Gnl destinato al nostro Paese e dove la spesa per le missioni è passata dai 42 milioni del 2024 ai 105 del 2025», specifica. Come ricorda Basso, nel Mar Rosso in particolare c’è la missione navale dell’Ue a cui partecipa anche l’Italia denominata Aspides, la stessa della quale le istituzioni hanno ribadito l’importanza proprio in funzione della protezione delle rotte commerciali che riguardano anche le fonti fossili. «Proprio negli ultimi giorni, in relazione alla minaccia iraniana di chiusura dello stretto di Hormuz, da cui passa circa il 30% del petrolio mondiale, il ministro degli Esteri Tajani ha rassicurato che “noi comunque manteniamo nell’area le navi della missione Aspides, quelle in funzione anti-houthi”», ricorda l’autrice. «A colpirmi di più è però che nei documenti della Difesa c’è la consapevolezza del cambiamento climatico e del riscaldamento globale come ulteriore causa di destabilizzazione, ma invece di adoperarsi a rallentare la crisi climatica la Difesa fa l’opposto, proteggendo i principali responsabili dell’emergenza climatica», aggiunge.
Le missioni cosiddette fossili sono presenti anche in altre aree geografiche «come per esempio il golfo di Guinea, il largo della costa libica e il Mozambico, a tutela tra l’alto di piattaforme e attività di Eni e delle petroliere attaccate dai pirati». Ovviamente questa tipologia di missioni non hanno come unico obiettivo quello di salvaguardare le attività estrattive e le rotte usate per gas e petrolio, ma «va detto che continuare a spendere anche per la protezione di queste fonti energetiche è sbagliato, sia per le conseguenze ambientali che per quelle sociali. Come vediamo nel Mar Rosso, andare in questi luoghi con le navi militari non migliora le tensioni, la militarizzazione non porta la pace».
Il report, dunque, si inserisce nel filone delle denunce che Greenpeace Italia fa da tempo contro gli investimenti fossili. L’ultima azione è stata proprio ieri al largo di Ravenna, uno dei luoghi di arrivo del gnl, scelto dagli attivisti per chiedere al governo italiano di fermare gli investimenti sul gas fossile che è fra le cause principali del riscaldamento globale. Una denuncia, spiega Basso, contro il fatto che si continui a puntare su questa fonte e a sabotare la transizione energetica. «Le conseguenze della crisi climatica sono già realtà. Basti guardare l’Italia, tra siccità e alluvioni. Ci parlano di sicurezza per giustificare queste spese che di fatto proteggono gli interessi dell’industria dei combustibili fossili – conclude –, ma noi di Greenpeace abbiamo un concetto più alto di sicurezza umana. E questa non si ottiene con le armi».