sabato 10 settembre 2016
Domani la colletta nella diocesi di Milano, il 18 nel resto d'Italia. Nelle tendopoli la rabbia degli sfollati: «Non vogliamo andare via».

Terremoto, ecco le regole per donare (bene)
di V. Daloiso
Sisma, Caritas: gemellaggi e raccolta fondi
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Cosa vuole la gente. Cosa serve, davvero. Eccoli, i due punti che ogni terremoto traccia sul terreno della ricostruzione. Il segmento che li unisce è la strada tortuosa che tocca percorrere alla solidarietà. E su questa strada è facile smarrirsi. La Chiesa, attraverso Caritas, lo sa bene. Prima linea nel 2009 in Abruzzo, prima linea nel 2011 in Emilia. Oggi tocca al Centro Italia. Con gli sfollati che, in queste ore, sono sempre più disorientati. L’incontro organizzato nella tendopoli di Amatrice mercoledì col sindaco e la Protezione civile ne è stato un assaggio. Tre le opzioni sul tavolo: trasferimento temporaneo in un albergo sulla costa; utilizzo, se c’è, di una seconda casa agibile; sistemazione autonoma con un sussidio. Risposta della gente, tra borbottii: «Noi vogliamo stare nelle nostre case». Che nella migliore delle ipotesi vanno valutate, nella più frequente non esistono più. «Niente albergo però, se no muoriamo», ripetono. E parlano di Accumoli, la cui popolazione è stata “adottata” da San Benedetto del Tronto e che in queste ore viene trasferita lontano, coi pullman, sul mare: «Ormai quello è un paese fantasma». Che fare? «Ascoltare, e continuare ad ascoltare». Don Andrea La Regina, responsabile nazionale dei macro-progetti Caritas, in questi giorni fa il “pendolare” fra gli sfollati e le macerie dei paesi colpiti. «Dobbiamo partire dalle persone: soltanto stando in mezzo a loro, vivendo la comunità, si può davvero capire da dove iniziare ad aiutare». Il sisma di oggi è una sfida anche per la Chiesa. Le diocesi sono state chiamate a raccolta, e si sono spese anima e corpo, sia nel 2009 per l’Abruzzo sia nel 2011 per l’Emilia. Concreti, visibili e anche rendicontati online i risultati di quell’impegno: 35 milioni di euro per l’Abruzzo, trasformati nelle 4 nuove scuole (pubbliche) di Roio, Fossa, Fontecchio e Ocre, in 16 centri di comunità, 7 strutture di accoglienza, 2 sportelli dedicati ai servizi sociali, 16 edifici parrocchiali restaurati; 13,7 milioni per l’Emilia, divisi tra 7 diocesi colpite, 20 centri di comunità, 17 progetti di animazione e programmi socio-economici. «Ma qui è un’altra storia, e dobbiamo tenerne conto» continua don La Regina. A cominciare dal quando e dal dove di questo terremoto: fine dell’estate, montagna. «In Abruzzo e in Emilia la soluzione prioritaria fu proprio quella dei centri di comunità. C’era bisogno di spazi dove le popolazioni potessero subito ricompattarsi, dove ricreare tessuto sociale ». Nacquero tensostrutture adibite a spazi polifunziona-li, dove lentamente ripresero le attività sociali, pastorali, caritative, persino quelle istituzionali come consigli i comunali. «Qui però sembra problematico procedere su quella strada, data la decisione di smantellare subito le tendopoli in vista dell’inverno», spiega don La Regina. I centri di comunità devono sorgere per le persone, e vicino alle persone: «Finché non sarà chiaro dove le popolazioni verranno sistemate e con quale criterio per noi è impossibile muoverci. Il nostro ruolo, d’altronde, è sussidiario: ci sono scelte istituzionali, noi dipendiamo da queste». Per aiutare i singoli paesi, poi, si inaugurò sempre nel 2009 il metodo dei gemellaggi: abbinare tutte le Caritas di una diocesi a una singola parrocchia colpita. «Qui stiamo studiando la possibilità di una nuova forma di gemellaggio – spiega ancora don La Regina –, quello fra famiglie». L’idea, già ipotizzata dal vescovo di Rieti Domenico Pompili, è quella di far aprire tutte le case agibili, prima e seconde, di metterle a disposizione dei vicini. «Stiamo raccogliendo le disponibilità, vagliando i percorsi possibili. Quel che è certo è che una soluzione di questo tipo aiuterebbe in particolare gli anziani, e in queste zone sono molti, che hanno bisogno di mantenere un rapporto diretto con le proprie radici e coi luoghi dove hanno trascorso la propria vita. Una famiglia che fa spazio a un’altra famiglia compie un gesto d’amore, offre affetto, intimità, cura». Cioè quello di cui le fasce di popolazione più fragili, non solo gli anziani ma anche i bambini, hanno davvero bisogno». Le somme si tireranno a fine mese, dopo la Colletta che il 18 settembre si terrà in tutte le chiese d’Italia (l’appuntamento nella diocesi di Milano è fissato per domani) e il cui ricavato andrà ad aggiungersi al milione di euro immediatamente stanziato utilizzando i fondi dell’8 per mille e dalle decine di donazioni arrivate dalle Caritas internazionali (dal Vietnam al Cile, dalla Germania alla Polonia).  «Quel che è essenziale – ribadisce don La Regina – è che tanta solidarietà venga “assorbita” dalle comunità colpite, che il dono sia concretamente un bene per chi lo riceve. Ecco perché dobbiamo leggere i reali bisogni di questi paesi e di queste popolazioni». All’indomani del terremoto, come ogni volta succede in Italia, sono partite centinaia di raccolte fondi. «Un segnale di solidarietà straordinario, ma che con sé porta un rischio altrettanto straordinario», continua don La Regina: quello di «costruire cattedrali nel deserto, di innaffiare una pianta assetata con litri e litri d’acqua in un momento solo». Un errore «in cui non possiamo permetterci di cadere per la grande responsabilità che abbiamo».
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