martedì 27 luglio 2010
Sulle irregolarità del post-sisma denunciate dal nostro giornale parla anche il responsabile della sicurezza dei cantieri cittadini: «Qui operai e imprese schedati». Il presidente regionale Ance: «Controlli difficili». Ora si pensa di estendere il protocollo del centro storico.
- Sulla ricostruzione l’ombra del lavoro nero
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I costruttori ammettono e i controllori non smentiscono, messi all’angolo dai numeri e dall’evidenza. L’illegalità nei cantieri è più facile nelle imprese "cottimiste" dei subappalti, nelle ditte private più piccole e nei tanti paesini che circondano il capoluogo. Per questo l’esperimento del super-coordinamento per la sicurezza del centro storico, attivo da marzo, potrebbe essere allargato alle 63 frazioni dell’Aquila e a 41 comuni del cratere.Si corre ai ripari finalmente, insomma, dopo che da mesi quella percezione di Far West edile nei lavori post terremoto ha trovato spazio solo in qualche riunione blindata degli addetti ai lavori e nelle voci del volontariato. Ora però, che già nelle prove generali della ricostruzione leggera è apparso un fenomeno senza precedenti (il 50% delle imprese controllate è irregolare, così come un terzo degli operai), si punta a fare del modello di rinascita abruzzese il modus operandi per l’edilizia del futuro, almeno in teoria. Il cuore dell’Aquila con le sua banca dati delle ditte, i pass all’ingresso e dieci tecnici che ogni giorno controllano le oltre 200 società che vi lavorano, appare un’isola felice in mezzo all’anarchia totale della periferia. La sensazione del responsabile del super-coordinamento per la sicurezza dei cantieri, creato dal Comune per gestire in legalità e trasparenza le opere di puntellamento e demolizione, è tuttavia affiancata dalla realtà delle cifre. «Il nostro modo di tutelare il lavoro e la sicurezza nei cantieri sta funzionando bene – chiosa Maurizio Ardingo – visto che abbiamo trovato e denunciato solo tre casi di irregolarità in quattro mesi e abbiamo avuto solo due feriti lievi su quasi 3mila lavoratori». Ardingo, già responsabile della sicurezza nei cantieri del progetto Case, è tutt’altro che transigente; non ammette deroghe su imprese non autorizzate, rispetto delle norme nelle opere in altezza e sul lavoro irregolare. «Gli operai, tutti schedati con tanto di storia professionale come prevede la normativa 81 nel pass al collo – ribadisce – sanno che al primo richiamo verranno sottoposti a un corso integrativo di formazione, al secondo non potranno più lavorare nella ricostruzione». Praticamente impossibile, dice, che «una ditta introduca lavoratori in nero nella zona rossa, visto che il controllo è costante». Più probabile e più facile, conferma, che «piccole ditte nei borghi del circondario possano essere fuori norma». Per questo il progetto di ampliamento del modello procedurale del cantiere unico del centro sarà presto allargato, «questa sarebbe l’intenzione» dice, a gran parte delle provincia per vincere la sfida della ricostruzione pesante.E già, i controlli. Quelli che consentirebbero di scoprire lo sfruttamento degli immigrati, pagati due lire per lavorare dieci ore a nero, quando va bene. Il presidente dell’Ance dell’Aquila Filiberto Cicchetti lo sottolinea subito: «Sono a tappeto in ogni cantiere – precisa – da mesi c’è una task force aggiuntiva di ispettori che dalla regione sono a supporto delle cinque squadre provinciali. Il 90% dei cantieri delle imprese aquilane è in regola». Non si scompone troppo alla vista dei dati sull’illegalità diffusa; se l’ispettorato del lavoro vuole fare le pulci, prova a difendere la categoria, «qualche dettaglio che non va sicuramente lo trova». Ma poi aggiunge: «Le irregolarità sono relative all’immenso sottobosco dei subappalti, dove i controlli sono più difficili o ai comuni del cratere». Certo è auspicabile, visto che L’Aquila sarà il cantiere più grande d’Europa «per i prossimi vent’anni – aggiunge – che le ispezioni aumentino. Anche per noi è basilare tutelare la sicurezza degli operai, quando c’è un ferito in cantiere siamo tutti sconfitti». L’illegalità in questa macchina organizzativa, conclude, «non conviene a nessuno, nemmeno ai costruttori, che poi si troverebbero tagliati fuori dalla ricostruzione vera, quella pesante».
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