domenica 21 gennaio 2018
Nella cittadina del Fermano, nel 2016 i i 16mila abitanti hanno speso a testa in media 2.700 euro alle slot. Il fatale intreccio con la droga e il ruolo della malavita balcanica
Slot machine (Siciliani)

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Nelle Marche, nel Fermano in particolare, l’evoluzione tecnologica ha un cuore antico: cuore d’azzardo. In questa terra dove aleggiavano leggende di ville, aziende e perfino mogli passate di mano in un giro di teresina nei foschi vapori di qualche bisca, le mitologie lasciano il posto a più aridi riscontri. Se i dati ufficiali, diffusi a fine anno, parlano di un ulteriore aumento su base nazionale, nel 2016 pari all’8% per cento ovvero 95 miliardi, il sorprendente epicentro marchigiano sta a Porto San Giorgio, piccolo delizioso sonnacchioso centro balneare in provincia di Fermo. Un paese dei Balocchi dove si sono bruciati 43,31 milioni di euro, per una spesa pro-capite di 2.696 euro. Somma che ha del clamoroso in una località che conta sedicimila residenti appena; e questi – compresi, per le statistiche, anziani e infanti – si agitano tra le 210 slot mangiasoldi disseminate in città, 150 delle quali Awp, le new slot dove si perde relativamente meno, e le restanti 60 Vlt, con cui si brucia sensibilmente di più.

Porto San Giorgio spicca, per così dire, a tutte le dimensioni: con i suoi poco meno di 2.700 euro a testa, stacca di molto i centri calzaturieri di Porto Sant’Elpidio 890, Montegranaro 1.013, Montegiorgio 1.631,2, Monte Urano 1.270, e poi Falerone 1.777,2, Servigliano 257, Amandola 403,7, Sant’Elpidio a Mare 769,8, così come il capoluogo di provincia, Fermo (579,7 euro pro capite). Ma anche i capoluogo delle altre province restano indietro: Ancona 1.011 euro, Ascoli 1.001, Macerata 628,7 e Pesaro 845,7.

Il Fermano è un territorio particolare, che accusa contraddittorie dinamiche socioeconomiche. La crisi calzaturiera, divenuta endemica negli anni ’90, ha decimato il tessuto di microimprese, che si è ridefinito come ha potuto; lo stesso che, col benessere dell’immediato e poi maturo dopoguerra, conseguito allo sviluppo di una economia calzaturiera dai tratti duri e genialoidi, aveva scatenato appetiti usurari e legati all’azzardo, evidentemente duri a morire. Ma a Porto San Giorgio, che pure mantiene un reddito pro capite tra i più alti in regione con oltre 19mila euro (e questo evidentemente implica qualcosa), da tempo manca un solido indotto industriale, si vive di un commercio che non nasconde le sue difficoltà (con gli esercenti appena scesi in polemica col Comune dopo i riscontri del periodo natalizio) e di una stagione turistica più di ombre che di luci.

Ma le pubbliche virtù sono dure a morire. Chi lavora in banca parla di «un’abitudine inveterata a un certo esibizionismo sociale per cui le sofferenze, a catena, non si contano ma il mito del benessere va sorretto a ogni prezzo; si circola su auto costosissime, le cui rate si fatica a saldare, e poi, magari, c’è chi viene a chiedere dilazioni, prestiti per pagare le bollette».

Chi lavora nelle forze dell’Ordine ha altri problemi, primo fra tutti l’alluvione della droga: «Si tira ovunque, locali, circoli. Ma la vera piaga è l’azzardo, intrecciato allo spaccio come in ogni buona regola criminale. Le sale, le slot, i bingo sono ufficialmente regolari, in realtà nel mirino di nuclei malavitosi perlopiù balcanici i quali tengono d’occhio gli habitué, li finanziano a breve, indi li ricattano: a quel punto il malcapitato, meglio se giovanissimo, finisce nel giro quasi senza accorgersene». E l’attività si autoalimenta, un giro tira l’altro. Dalla scorsa estate i vari corpi di polizia intervengono a tappeto, una operazione antidroga al giorno, ma è come l’Araba Fenice. Fate il vostro gioco, signori.

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