martedì 23 marzo 2010
Nel partito cresce la percezione del malessere. E tra i dirigenti c’è chi si preoccupa degli elettori che intendono avvalersi della possibilità di scegliere un candidato presidente e una lista avversaria. D’Ubaldo: «Arduo per molti rinunciare ai valori».
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C’è chi fa già i conti e chi prepara il conto agli alleati. Nel Lazio, archiviata l’era degli esodi per la candidatura di Emma Bonino, nel centrosinistra ci si avvicina al voto senza più conflitti, ma resta latente la tensione tra Pd, Italia dei valori e radicali. Tra i democratici l’ordine di scuderia di andare avanti compatti funziona. Il segretario Bersani non sente neanche il «bisogno di dire che cos’è per l’Italia il risultato del Lazio», dove «si può realizzare il fatto politico più rilevante». E la lettera del premier agli elettori laziali pare confermare. Perciò nel Pd si procede senza più levate di scudi. «Anche grazie al duro sforzo fatto con il programma, in cui abbiamo cercato di mantenere un equilibrio», spiega l’estensore del manifesto pro-"Emmatar" Lucio D’Ubaldo. «Ma è giusto – concede il senatore piddì – comprendere il disagio di chi non intende rinunciare ai propri valori» e che, non potendo per questo votare Bonino, «finirà per ricorrere al voto disgiunto. Non è la pienezza del consenso – ragiona – ma per noi va bene».Non per tutti, visto che i più recalcitranti hanno smesso di lavorare alla campagna per la regione che fu di Marrazzo e si sono diretti altrove. Da Castagnetti, a Bindi a Franceschini, nessuno torna a riaprire il dolente capitolo e si dirige fuori dal Lazio. La legge regionale, comunque, consente agli elettori di votare il candidato di uno schieramento e la lista di una coalizione diversa. Un rischio che molti non credono di correre, dopo la bocciatura della lista del Pdl e il "matrimonio" ormai consolidato tra Renata Polverini e Silvio Berlusconi.Il problema dei valori, però, esiste. E pare destinato a non chiudersi con il voto, viste le forzature che già oggi sono cominciate riguardo alle caselle da riempire e a quella considerata chiave, che è l’assessorato alla Sanità. Per ora, la poltrona è occupata dal commissario straordinario, ma ad aspirarvi sono in tanti. Pronta ad alzare la voce è l’Italia dei Valori, che ha già fatto il suo piano d’attacco: se il partito dell’ex pm dovesse avere il 5 per cento dei consensi, «chiederemo due assessori. Tra il 6 e l’8 per cento dei voti, saliremo a tre, di cui uno dovrà essere alla Sanità e un altro ai Lavori pubblici, dove serve un partito pulito», spiega Stefano Pedica, responsabile laziale dell’Idv. L’unico caso in cui Di Pietro potrebbe rinunciare alla sanità, è quello in cui la stessa Bonino decidesse di tenere la delega.Discorsi «fuori tempo e fuori luogo», taglia corto l’ex ppi Beppe Fioroni, certo che quello che conterà al momento giusto, saranno le percentuali dei partiti. A oggi i «dibattiti sono inutili, non concertati con trattative del gruppo di rappresentanza», dice Fioroni, convinto soprattutto che «prima di dividersi la pelle dell’orso bisogna averlo». Le poltrone «sono da sempre ripartite sulla base delle percentuali». Quanto alla Sanità, è ancora commissariata. Anche se D’Ubaldo spiega che un assessore nella «più delicata» casella potrebbe «governare l’aspetto politico del processo che porta fuori dal commissariamento».
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