mercoledì 1 ottobre 2014
​Renzi: «La gente è con me». Il governo lavoro ad emendamento. Fi acccusa: passo indietro. 
Tfr in busta paga, l'ira dei sindacati
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Al via la discussione generale sul Jobs act, all'esame dell'Aula del Senato. Le prime votazioni sul testo da parte dell'Assemblea di Palazzo Madama sono previste a partire dalla prossima settimana, con ogni probabilità. L’emendamento del governo alla legge delega sul lavoro deve tradurre il voto della direzione Pd di lunedì sera. In sostanza, si specificherà che il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti per i neoassunti cancellerà l’articolo 18 per i licenziamenti economico-organizzativi, ma consentirà comunque il ricorso al giudice (e l’eventuale reintegro) in caso di allontanamento per motivi discriminatori e disciplinari. Ma al momento nessuna decisione è stata presa, come ha ammesso lo stesso ministro del Lavoro Giuliano Poletti: "Stiamo ancora ragionando su quello che c'è da fare". A chiarire subito che viste le carte in tavola la situazione potrebbe cambiare è Forza Italia che accusa Renzi di aver modificato la riforma, rendendola di fatto inutile (con la reintroduzione dell'art 18 per i licenziamenti disciplinari) visto che le norme Fornero già prevedono il solo indennizzo economico in caso di licenziamenti legati a crisi aziendali. "Contrordine compagni! Matteo Renzi riduce flessibilità in entrata e mantiene articolo 18. Peggio della Fornero" scrive di prima mattina su Twitter Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati lanciando la palla al Ncd che con Sacconi   Il resto è polemica, lo strascico velenoso del duro confronto avvenuto l’altro ieri nel parlamentino democratico. Con Renzi che a favore di telecamera dice apertamente: «Ogni volta che D’Alema parla mi fa guadagnare un punto nei sondaggi».  A tenere banco, sin dal primo mattino, è sempre il premier. «La gente è con me, non con i sindacati», dice al  Washington Post.  Poco prima, arrivando alla segreteria del Pd, aveva assicurato che dopo il voto in direzione «non ci saranno franchi tiratori». Ma qualcosa rispetto a lunedì notte è cambiato. Se le prime cronache della direzione descrivevano il premier trionfante sulla minoranza e sulla Cgil, il day after assume in parte un altro sapore. Susanna Camusso, con l’apertura sui licenziamenti disciplinari e alla luce dell’offerta di incontro avanzata da Palazzo Chigi, rialza la testa: «Dice che la gente è con lui? Al giovane presidente del Consiglio lasciamogli l’illusione». Già pregusta, la leader Cgil, il pienone della manifestazione di Roma del 25 ottobre. Al punto che in serata il premier torna a polemizzare con lei. «Vanno in piazza? Bello!» replica davanti alle telecamere di Ballarò. Noi quel giorno faremo la Leopolda». In prima serata Renzi conferma la linea dell’andare avanti a oltranza: «Ormai la riforma è questione di giorni, non di anni. Dobbiamo solo definire le varie fattispecie », ovvero specificare i vari casi discriminatori e disciplinari che potranno essere oggetto di ricorso giudiziario e dunque confluire nel decreto legislativo del ministro Poletti. La situazione nel Pd è ancora inquieta. Ieri si è riunita l’assemblea dei senatori, che si rivedrà martedì prossimo, prima dell’esame in Aula, per esprimere un voto che poi sarà vincolante per tutto il gruppo, come fa capire Luigi Zanda. Al Senato si punta a chiudere entro il 9 ottobre. Sebbene i 40 firmatari degli emendamenti di minoranza non abbiano ancora fatto un passo indietro, ieri pomeriggio al termine di una loro riunione in diversi hanno preso le distanze. I più moderati ritengono sufficiente il ritorno del reintegro per i casi disciplinari, come si sgola a dire il capogruppo alla Camera Roberto Speranza. Si stima che non più di 10-15 senatori diranno «no» durante l’ultimo vertice di gruppo della settimana prossima.  Sull’esame in Aula resta lo spettro della fiducia. I casi in cui un governo abbia forzato la mano su una delega sono pochissimi, ma l’ipotesi esiste perché un soccorso di pezzi di Forza Italia sarebbe il preludio del voto anticipato. E poi, dopo l’apertura sul disciplinare, anche gli azzurri sono diventati molto tiepidi. Anche i più 'governativi' denunciano il «passo indietro» di Renzi.  Le spine che potrebbero nascere nei prossimi giorni sono due. La prima è Ncd. «Qualsiasi emendamento del governo deve essere concordato con il relatore, che sono io», avverte Maurizio Sacconi. Evidente l’insoddisfazione del partito di Alfano per l’esito della direzione Pd. Ci vuole un surplus di trattativa. La seconda spina è Confindustria. Sino a lunedì la linea di Renzi «senza se e senza ma» era piaciuta. Il fatto che la minoranza sia passata parzialmente all’incasso ha smorzato notevolmente gli entusiasmi.
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