mercoledì 9 gennaio 2013
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C​he vergogna, l’Italia condannata dalla Corte europea dei diritti umani perché il suo sistema carcerario è una tortura dell’uomo. Che vergogna in faccia al mondo, dove la nostra 'itala gente' ha messo a segno una grande civiltà giuridica sopra le ricorrenti barbarie umane, segnando col suo sigillo i traguardi che l’intuizione moderna dei diritti umani ha poi riconosciuto, raggiunto e serbato.
Che vergogna nell’interno della nostra coscienza di "itala gente", se quei traguardi sono ora infranti e negati proprio fra noi, quando ci sentiamo dire, e vediamo e sappiamo, che la storia ci ha fatto bugiardi, e che non siamo come siamo, ma falsi. E più tremendamente, forse crudeli, se la verità della cronaca adesso ci rivela crudeli, nel giorno che la Corte europea dei diritti dell’uomo ci condanna ancora una volta, duramente, risolutamente, per crudeltà. Per il modo con cui in Italia gestiamo le carceri, cioè per il modo con cui nelle nostre carceri «torturiamo i detenuti». Noi siamo la patria di Verri e di Beccaria. Noi abbiamo una Costituzione tra le più illuminate del mondo, che recepisce il principio dell’emenda e vi stampa sopra la sua speranza e il suo impegno, nel mentre rifiuta ogni trattamento «contrario al senso di umanità».
Noi siamo i corifei, nel flusso della storia, di quella intuizione divenuta universale che esclude ogni trattamento crudele o disumano o degradante. Noi, voce di civiltà, voce di sognata vittoria, riecheggiata e trascritta in dichiarazione universale .Ma noi, ancora noi, oggi divenuti vigliaccamente (sì, perché da gran tempo grida la voce sulla civiltà tradita, e non ascoltarla è da vigliacchi) divenuti vigliaccamente mansueti sul dolore altrui ci sentiamo sul collo finalmente la sferza d’un Giudice internazionale che ci rampogna, e che in nome dei 'diritti dell’uomo' ci condanna a pagare.
Noi, risoluti a scrollarci questa vergogna: prima d’ogni impossibile paga, noi non vogliamo che esista. Ci riaffacciamo allora, curiosi di nuovo e di nuovo sgomenti, sui letti a castello da lager che nelle nostre carceri danno spazio ad uomini in guscio, reprobi detti e presunti innocenti frammisti, frange schiumate e schiere di fragili. Brulichio di gente, gente com’è e come siamo, mondo di mondo e d’immondo, nel nostro possibile errare e nel bisogno di salvezza dalla disperazione. Chi torna periodicamente su questo argomento delle carceri sovraffollate e disumane sa che la soluzione teorica materialmente più semplice (più celle larghe, più larghe galere da fabbricare) resta da sola la più folle, la più disperata, se si abbandona il panorama di una giustizia condivisa e condivisibile nell’umano concerto dei bisogni, dei soccorsi, delle cadute e delle rinascite. La tragedia non è solo quel che ci rinfaccia oggi la Corte di Strasburgo. La tragedia profonda è il tradimento concreto della riforma che nel 1975 noi recitammo come profezia sul nostro ordinamento penitenziario. E sia giusto, una buona volta, chieder conto ai responsabili: ai governi, ai Parlamenti, ai "garanti" dei diritti dei detenuti; perché se questi sono i risultati fallimentari, loro devono dirci "che cosa ci stanno a fare" o andarsene dal ruolo. Ci rispondano, di grazia, questi 'garanti', e che cosa garantiscano. Chiamiamoli sul web, sui loro siti. Per ultimo, ai giudici. Se hanno a cuore, in purezza, i problemi descritti, li affrontino in purezza di cuore. Se par loro in cuore che il sistema del carcere torturante, qual è, sia contro la Costituzione, ne rimettano decisione.
L’attendiamo. Almeno da poter dire: la tortura è sospesa. 
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