sabato 25 aprile 2020
La difesa delle Fondazioni Don Gnocchi e Sacra Famiglia, coinvolte nelle inchieste sulle morti nelle Rsa. «Da noi disposizioni per la sicurezza di tutti».
Le Rsa: così abbiamo difeso i nostri anziani

Ansa

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Da soli o quasi, contro la terribile ondata del contagio da coronavirus. Con poche risorse e strumenti. Senza però tirarsi mai indietro, nel tentativo di proteggere e curare i propri ospiti. Sotto pressione da settimane e finiti nel tritacarne mediatico per la drammatica situazione che coinvolge numerose residenze per anziani in Lombardia, in Italia e in altri Paesi del mondo, i presidenti della Fondazione Don Gnocchi e della Fondazione Sacra Famiglia, don Enzo Barbante e don Marco Bove, raccontano come sono andate davvero le cose in quei frenetici giorni di marzo nelle Rsa gestite dalle due istituzioni e si difendono dalle accuse che hanno portato la Procura di Milano ad aprire una serie di fascicoli d’indagine. Realtà con 29 strutture residenziali in nove regioni, la Don Gnocchi è nell’occhio del ciclone per l’Istituto Palazzolo, storica istituzione sanitaria e socioassistenziale milanese, che accoglie 800 pazienti di età media prossima o superiore agli 85 anni, dove don Barbante riferisce di circa 150 decessi in due mesi, «anche se non tutti dovuti a Covid–19.

Fin dai primi giorni dell’epidemia – puntualizza – abbiamo avanzato pressanti richieste per avere a disposizione almeno ausili e dispositivi di protezione individuale (Dpi), come le mascherine, che la Protezione civile aveva requisito dal mercato. Quello che ricevevamo era enormemente inferiore al bisogno. Abbiamo avuto difficoltà anche con i tamponi e ci siamo visti bloccati o sequestrati materiali ricevuti per beneficenza o che eravamo riusciti a procurarci acquistandoli all’estero».

Di qui l’indicazione agli operatori «di un uso razionale e consapevole dei dispositivi», sempre nella primaria intenzione di preservare la sicurezza degli ospiti e dei lavoratori stessi. Il presidente della Fondazione respinge pertanto con fermezza l’accusa di alcuni operatori di una cooperativa esterna di aver vietato di indossare le mascherine. «Le mascherine sono sempre state a disposizione degli operatori e a seguito dell’evolversi della situazione epidemiologica e normativa, la Fondazione ha sempre pienamente recepito le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità e dell’Istituto superiore di sanità», sottolinea all’agenzia Sir.

Anche la Sacra Famiglia, riferisce don Marco Bove, si è vista «bloccare alla frontiera tutti i dispositivi che avevamo ordinato all’estero », trovandosi «a dover affrontare questo impatto violento sostanzialmente da soli». Presente in Lombardia, Liguria e Piemonte, con 23 Centri, la Fondazione è coinvolta nelle inchieste della Procura milanese per la residenza di Cesano Boscone, in provincia di Milano, che ha 700 persone residenti tra anziani e disabili. Ad oggi, prosegue don Bove, «nelle due Rsa e nelle 8 Rsd di Cesano abbiamo avuto 33 persone contagiate e due decedute».

Nella sede di Cocquio Trevisago, in provincia di Varese, sono invece morte 5 persone e 22 nella struttura di Settimo milanese. In mancanza di indicazioni e linee guida ministeriali per le Rsa e le Rsd, «che sono state emanate solo il 17 aprile», puntualizza don Bove, già lo scorso 24 febbraio la direzione sanitaria della Sacra Famiglia «ha emesso per le nostre 23 sedi linee guida interne: chiusura di centri diurni e ambulatori e stop alle visite dei familiari organizzando la possibilità di videochiamate per consentire ad anziani e disabili di mantenere in tutta sicurezza il contatto con i parenti».

Lo stesso comportamento di sicurezza adottato dall’Istituto Palazzolo fin dal 24 febbraio – ribadisce don Barbante – con modalità ancora più restrittive rispetto alle successive indicazioni delle autorità istituzionali. Entrambi i responsabili delle Fondazioni, poi, ricordano la controversa delibera dell’8 marzo che indicava le Rsa come possibili ricoveri per i malati di Covid. «Abbiamo accolto il pressante appello della Regione, per sgravare gli ospedali per acuti di pazienti in fase di remissione, e abbiamo messo a disposizione un reparto di 36 posti letto in uno spazio del tutto separato dalla Rsa – ricostruisce don Barbante – con ingressi e percorsi distinti. Anche il personale medico, offertosi volontario, era dedicato solo a questi pazienti, senza alcun contatto con gli altri operatori. Tutte le nostre politiche di contenimento dell’epidemia, così come in tante altre Rsa, ci hanno consentito solo di rallentare e limitare l’ingresso del virus nei reparti, presumibilmente dovuto a personale positivo ma che ha superato il triage perché asintomatico».

In un quadro difficile e drammatico – anche per la carenza di personale, dovuto a malattie e quarantene – in tutte le strutture delle due Fondazioni si continua a operare al meglio e con turni massacranti. «I nostri medici, infermieri e operatori – conclude don Barbante – non sono meno eroi di quanti si stanno prodigando nelle strutture ospedaliere. Noi siamo vicini al dolore di coloro che hanno perduto i propri cari, ma anziché puntare il dito per quelli che purtroppo non siamo riusciti a salvare, vorremmo il necessario aiuto e sostegno per “quelli che ancora stiamo salvando”»

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