Trevigiana, 48 anni, da 20 malata di sclerosi multipla, testimone di Geova, ha ricevuto dal giudice Clarice di Tullio - con tanto di decreto - la possibilità di rifiutare le cure, in particolare i farmaci salvavita. Una decisione che ha suscitato subito sorpresa e disorientamento a Treviso e nel resto d’Italia. Qualcuno ha ricordato subito il "caso Englaro" e il suo pesante strascico di polemiche e di contestazioni, anche se il contesto questa volta appare sostanzialmente diverso. Treviso però ha già vissuto, in un passato recente, un’analoga vicenda, quella di Paolo Ravasin, malato di sla. Per quanto riguarda la donna trevigiana, la decisione del giudice risale ancora al mese di gennaio. All’epoca la signora era ricoverata in ospedale, in condizioni molto gravi. Sembrava che le sue condizioni dovessero precipitare da un momento all’altro. Ciononostante, la paziente rifiutò la trasfusione e la tracheotomia permanente che le avrebbe permesso di respirare con minori difficoltà. La crisi venne comunque superata e la donna, tornata a casa, decise di persistere nella sua volontà di rinunciare alle terapie, chiedendo che, in caso di necessità, l’ultima parola potesse essere quella del marito. E così è stato. Il giudice ha nominato proprio il marito amministratore di sostegno. Nella sua disposizione Di Tullio fa riferimento al codice deontologico dei medici e a norme del Consiglio d’Europa relative ai diritti dell’uomo e alla biomedicina, in particolare all’impedimento di intervenire se il paziente non è informato e non dà il consenso, che dev’essere libero. Quindi - secondo l’interpretazione fatta propria dal giudice trevigiano anche sulla base di pronunciamenti della Cassazione – al paziente va riconosciuto senza alcun dubbio il diritto di non curarsi. La nomina dell’amministratore di sostegno è, in questa prospettiva - sostiene sempre Di Tullio – lo strumento processuale adatto ad assicurare il rispetto delle scelte individuali. A Treviso, però, non manca la sorpresa. E gli interrogativi si moltiplicano. Ecco perché ha sentito in dovere d’intervenire Valeria Castagna, collega del giudice Di Tullio. «Il provvedimento dal punto di vista giuridico ha numerosi precedenti, il più famoso dei quali in Cassazione aveva riguardato la vicenda Englaro, e ha pure numerosi precedenti di giurisprudenza che vengono per altro nel provvedimento citati e richiamati con precisione». Castagna inoltre, parlando con i giornalisti, ha aggiunto che «la persona posta in amministrazione di sostegno ha gravissimi problemi motori ma non è incapace di intendere e di volere. È perfettamente lucida ed ha espresso la propria volontà in passato tramite un atto scritto e davanti al giudice che ha esteso il provvedimento». Ma associazionismo e società civile si interrogano. E proprio da Treviso parte un appello al Parlamento perché vari l’attesa legge sul fine vita. «Una legge - sottolinea Gino Soldera, presidente del Movimento per la vita di Conegliano - che non è contro l’uomo, ma a favore dell’uomo, e chiarisce molti punti importanti lasciati fino ad ora in sospeso da un vuoto legislativo. È una legge a difesa della vita e della sua dignità, sapendo che la libertà di scelta, quella che è chiamata autodeterminazione, è tale solo quando esistono le condizioni che la rendono possibile».