martedì 5 gennaio 2016
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Il tempo è scaduto. «Siamo all’ultimo round» o la svolta c’è adesso, subito, o niente: «Bisogna difendere le persone. Ferite dall’inquinamento e dal dramma di poter perdere, da un momento all’altro, il lavoro». Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto (che proprio oggi festeggia quattro anni dall’ingresso in diocesi, dopo i 27 trascorsi come missionario in Brasile), è preoccupato per la sua gente. Non solo: «Ci vuole un orizzonte globale. Per Taranto, la Puglia, l’Italia stessa», spiega il presidente della Commissione Cei per il lavoro e problemi sociali. E «se le iniziative governative vanno in questo senso, ben vengano». Non ha la sensazione che nella vicenda Ilva di tempo ne sia stato già perso tanto, anzi troppo?Ma certo. Ho la sensazione che le opinioni non contano più. Questo è ormai il tempo delle scelte operative. Taranto non può aspettare, abbiamo aspettato finora, ci sono stato otto decreti... Quali ritiene migliori? Ci sono alcune ipotesi, ma non entro nel merito dei discorsi tecnici. Dico però che chiunque ha una responsabilità, adesso deve fare in fretta e tener conto del bene complessivo della città. Qual è la sua sensazione invece riguardo alla gente di Taranto? È stanca, delusa, arrabbiata o cosa? Di certo alle opinioni e ai discorsi non crede più. Vuole almeno dei segni, grandi, che manifestino una volontà fattiva. Per esempio? Gliene dico solamente uno: la copertura dei parchi minerali dell’Ilva, lo dissi anche ad Andrea Orlando, quando era ministro dell’Ambiente. Forse non è la cosa più importante e certo occorre una grande spesa, ma sarebbe un segno importante. Magari insieme all’adeguamento degli impianti. Serve la prova di fatti evidenti per la gente di Taranto. Qualcuno con una bomboletta spray ha scritto su un muro della 'città vecchia' tarantina una frase che, lì, colpisce: «Senza la salute non si può fare niente».Certo che colpisce. Perciò le dico che ormai siamo arrivati all’ultimo round. Perciò glielo ripeto: servono segni chiari e forti. Così da poter capire cosa si deve fare dell’Ilva. È tempo di decidere. Pensando al bene di Taranto. C’è troppa incertezza sul futuro e ci si trova costretti ad andare avanti così. Non si può del resto barattare il lavoro con la salute. Va difesa la vita, la salute, quindi l’ambiente, quindi il lavoro. Secondo le indicazioni che ci ha dato papa Francesco. Occorre seguire il cammino tracciato con la Laudato si’. Un cammino che non sembra essere tenuto in gran conto. Ma non c’è scelta. Occorre un’'ecologia umana' che sia integrale, appunto con la difesa della salute, del lavoro e anche quella culturale. Ma non sarà sbagliato anche ridurre Taranto alla sola questione Ilva, allora?È tanto sbagliato che io ho sempre rifiutato questa semplificazione. Ci sono altri problemi. Quali? Uno grossissimo è legato alla ricostruzione umana e urbanistica della 'città vecchia'. Era stato promesso un presidio dei carabinieri, ma stenta ad arrivare. E non sarebbe solo questione di ordine, ma soprattutto un segno. In sostanza, monsignor Santoro, serve davvero un orizzonte assai più allargato. Glielo ripeto con una battuta: vorrei che la preoccupazione per l’azienda Ilva fosse almeno direttamente proporzionale a un interesse più grande per il futuro della città, del Mezzogiorno e quindi del Paese.
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