martedì 23 novembre 2010
Mafia e terremoto, sequestrata impresa. Anche amministratori di condominio arruolati per arrivare agli appalti privati senza controlli. Nel mirino è finita la ditta Tesi Costruzioni: è l’ultimo anello di una catena del valore di 50 milioni di euro.
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Apripista, prestanome, affittacamere per gli operai. Ma li chiamano anche ganci, basisti dei clan nella ricostruzione. Sono quegli imprenditori aquilani che, alla ricerca affannosa di affari del post-terremoto, parlano ore e ore al telefono con gli uomini della criminalità organizzata per spartirsi la torta grande degli appalti privati. È infatti così che la mafia si insinua nel più ricco bottino della ricostruzione pesante (10mila appartamenti solo nel capoluogo). Ieri un altro pezzo del mosaico dell’illecito è stato svelato con il sequestro di una ditta locale: la Tesi Costruzioni. È l’ultimo anello della catena di confische, per un valore complessivo di 50milioni di euro, tra Reggio Calabria, Roma e l’Aquila, collegate alle cosche Borghetto, Zindato e Caridi che il 29 ottobre ha portato all’arresto di oltre trenta persone nel reggino.I sigilli che la polizia ha messo in via Pescara a l’Aquila, tuttavia, scoperchiano l’ennesimo vaso di Pandora della criminalità organizzata nel cantiere più grande d’Europa. Ieri l’ndrangheta, l’estate scorsa i Casalesi nel piccolo centro di Ocre e, appena pochi mesi dopo il sisma, tre ditte che tentavano la via dei subappalti pubblici per fare affari. «Ci sono in ballo altri sequestri già nei prossimi giorni – hanno assicurato fonti della procura distrettuale antimafia dell’Aquila – che coinvolgono ditte aquilane colluse con la criminalità organizzata».La via seguita è sempre la stessa: nuove imprese create subito dopo il sisma tra imprenditori locali e insospettabili impresari forestieri collegati ai clan oppure associazioni temporanee di impresa realizzate ad hoc per vincere e poi sub-appaltare i lavori della ricostruzione. È stato così per l’abruzzese Gam Costruzioni, che già stava lavorando al post 6 aprile, finita sotto sequestro a luglio ed è stato così ieri per la Tesi Costruzioni. Amministratore unico e proprietario al 50% della società è l’aquilano Stefano Biasini, non indagato a Reggio Calabria, la cui posizione è ora al vaglio dei giudici aquilani. È lui, infatti, ad esser considerato il gancio inconsapevole della ’ndrangheta che cercava appoggi logistici e aziende del capoluogo per mettere mano ai milioni della ricostruzione. L’altro 50% apparteneva a Carmelo Gattuso, commercialista e prestanome di Santo Giovanni Caridi, arrestati a ottobre. La Tesi, comunque, aveva messo gli occhi soprattutto nella riparazione dei condomini E, le vere galline dalle uova d’oro in Abruzzo. Secondo le ipotesi degli investigatori aquilani, le organizzazioni malavitose potrebbero aver individuato gli amministratori di condominio come le figure locali per arrivare ai ricchi appalti privati che sono senza controlli.Le leggi della ricostruzione pesante (l’ordinanza 3790 e la 3881), difatti, delegano ai padroni degli immobili, e agli amministratori nel caso dei condomini, la scelta delle ditte per i lavori di ricostruzione. Una selezione che per i proprietari "non tecnici" viene spesso delegata all’uomo di fiducia: il factotum del palazzo. Una triade, quella tra amministratori, ditte e clan, dai contorni sempre più definiti, che consente alle imprese in odor di mafia di fare soldi sulla tragedia. Si tenta di correre ai ripari, solo in linea teorica, con codici di tracciabilità dei fondi o con il passaparola delle white list (le imprese pulite). Difficile però, per ora, renderli legge senza violare le direttive comunitarie.
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