mercoledì 13 luglio 2016
​Rivoluzionaria intesa tra Chiesa e amministrazione penitenziaria siciliana. L'arcivescovo Pennisi: contribuire alla redenzione.
L'alternativa al carcere? Avverrà in 96 parrocchie
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La misura alternativa al carcere si svolgerà in parrocchia. Per favorire il recupero della persona, la restituzione del male commesso, la costruzione di un futuro per i detenuti che, dopo aver scontato la pena, potranno essere reinseriti nella società. Ha questo scopo il nuovo accordo tra l’arcidiocesi di Monreale e il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria per la Sicilia, firmato ieri pomeriggio al Castello di Carini, alla presenza del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e i massimi vertici della magistratura, dell’avvocatura e dell’amministrazione delle carceri. All’evento – organizzato dall’Ufficio per la Pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Monreale, guidato da don Angelo Inzerillo, dal Movimento cristiano lavoratori e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo, presieduto da Francesco Greco – è stato affrontato il tema 'Espiazione della pena e diritti fondamentali della persona. Una riflessione sulla situazione carceraria italiana.'. Un’occasione per sottolineare la necessità di umanizzazione della pena, denunciando sovraffollamento delle carceri e lentezza dei procedimenti penali. Da qui, l’iniziativa della diocesi normanna di mettere a disposizione le 96 parrocchie del territorio per l’accoglienza di chi deve ancora scontare residui di pena o svolgere pene alternative. «Una disponibilità che va colta come un’opportunità nell’anno del Giubileo della Misericordia», sottolinea don Angelo Inzerillo.  In particolare, l’intesa firmata da monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, e dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Gianfranco De Gesu, prevede di «promuovere azioni concordi di sensibilizzazione nei confronti della comunità locale rispetto al sostegno e al reinserimento di persone in esecuzione penale; promuovere la conoscenza e lo sviluppo di attività riparative a favore della collettività; favorire la costituzione di una rete di risorse che accolgano i soggetti ammessi a misura alternativa o ammessi alla sospensione del procedimento con messa alla prova che hanno aderito ad un progetto riparativo». Il ministro Orlando prova a dare conto dei progressi fatti: «Un carcere organizzato come è quello italiano non serve neanche a garantire la sicurezza. Costa nel bilancio tre miliardi di euro e l’Italia è il Paese con la recidiva più alta d’Europa. Oggi a fronte di 54mila detenuti abbiamo 49mila persone sottoposte a esecuzione penale esterna. Il lavoro dei detenuti all’esterno ha abbattuto il tasso di recidiva, ma la gente ha ancora paura. Bisogna costruire un carcere che non solo punisca in ragione del reato commesso, ma commisuri la pena rispetto al percorso riabilitativo del detenuto. Noi stiamo lavorando per costruire l’accesso alle possibilità di studio e lavoro per i detenuti». Il ruolo della Chiesa è espresso dall’arcivescovo monsignor Michele Pennisi: «La Chiesa vuole contribuire alla redenzione di chi ha sbagliato infrangendo la legge, invitando alla conversione, al pentimento e a una riparazione costruttiva del male fatto. La pena dentro la prigione ha senso se, mentre afferma le esigenze della giustizia e scoraggia il crimine, serve al rinnovamento della persona, offrendo a chi ha sbagliato una possibilità di riflettere e cambiare vita, per reinserirsi a pieno titolo nella società – afferma l’arcivescovo di Monreale –. La comunità cristiana è chiamata a educare, aiutare, riabilitare, far sentire ciascuna persona degna di essere amata e di essere promossa nella vita sociale».
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