«Credere». Credere che la morte «non è l’ultima parola». E credere che Domenico Montalto, il giornalista di Avvenire scomparso prematuramente giovedì scorso, in seguito a un arresto cardiaco, ora stia godendo «della felicità infinita dell’aldilà ». Di «quel posto che Gesù è andato a preparare per ciascuno di noi». Con queste parole don Enrico De Capitani, parroco della chiesa della Beata Vergine Incoronata di corso Garibaldi, a Milano, s’è rivolto ai parenti, ai colleghi e agli amici che ieri si sono riuniti, numerosissimi, per salutare l’ultima volta Domenico. “Monty”, come lo chiamavamo in redazione. A concelebrare le esequie, con don Capitani, anche don Claudio Rossi, che con Montalto ha trascorso gli anni del liceo, al Berchet. Una celebrazione commovente, in cui sull’altare si sono alternati i familiari e gli amici di Domenico, a cominciare dal piccolo Niccolò, 11 anni, che ha ricordato i bei momenti vissuti accanto allo zio: dalle mostre d’arte (di cui Domenico era un appassionato e un esperto) fino alle partite di Champions e alla play-station. Ieri mattina, accanto alla famiglia di Domenico – alla moglie Valeria, alla figlia Nicol, ai genitori Alfonsina e Adolfo e alle sorelle Loredana e Francesca – s’era stretta anche quella di Avvenire, presso la camera ardente, allestita nella chiesa SS. Carlo e Vitale di via Oldofredi. «Grazie per averci donato Domenico», ha detto il direttore, Marco Tarquinio, ai suoi familiari ricordandolo seduto alla scrivania del desk centrale, nel suo ruolo di responsabile del servizio notturno, pronto a gestire l’imprevisto «che nel nostro mestiere, come nella vita, è sempre in agguato». E l’imprevisto se l’è portato via. Ciao, Monty.
IL RICORDO - Il mondo dell'arte piange il "poeta"che sognava la rinascita del sacro di Alessandro Beltrami«Un uomo di bontà e generosità straordinarie.È stato molto vicino agli artisti lombardi, su cui ha detto cose importanti. Amava la parola, usata con precisione e gusto. Guardava alla bellezza terrena e a quel qualcosa che nelle opere va oltre. Era un persona di grande fede». Ciò che colpiva molti era l’umanità di Montalto: «Era una persona molto pacata. Non l’ho mai visto arrabbiato. Indignato sì. Ed era dotato di una giovialità che trasformava in una grande disponibilità ». «Un amico. Di più, un fratello». Alain Toubas, direttore della Compagnia del Disegno, galleria milanese dove è in corso l’ultima mostra curata da Montalto, con una selezione delle terrecotte di Previtali, ricorda «una conoscenza lunga 20 anni. Domenico amava gli artisti. Ci sono tanti modi di scrivere d’arte. Lui non aveva vie di mezzo, il suo trasporto era totale». La voce dello storico gallerista Oreste Bellinzona, nel ricordarlo, non riesce a trattenere la commozione: «Domenico era unico. La notizia della morte è stata uno choc. Di una generosità incredibile. Non aveva paura a esporsi per difendere un giovane artista. Era molto sincero, virtù che qualcuno aveva male interpretato. Per fortuna Domenico era anche molto spiritoso. Una volta uno stampatore d’arte mi disse di volermi fare conoscere un critico straordinario. Quando andai all’appuntamento era lui. Fingemmo di non conoscerci e poi ci facemmo delle grandi risate. Non si meritava una fine così».