sabato 25 giugno 2016
​Nella chiesa 500 profughi, la meta è Calais.  Oltre 40 arrivi al giorno, età media 20 anni. Risposta solidale della popolazione: più di cento i volontari. Richiedenti asilo accolti in seminario. (Paolo Lambruschi)
Ventimiglia: le porte aperte funzionano
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Ai profughi che stanno nella chiesa delle Gianchette la Brexit non interessa. Sono qui per arrivare a Calais e passare la Manica, a ogni costo. La parrocchia di Sant’Antonio nel quartiere di Ventimiglia che si dirige verso le Alpi liguri ha aperto le porte ai migranti sgomberati il 30 maggio dalla tendopoli sul fiume Roia. Il vescovo  Antonio Suetta, ascoltando l’appello del Papa, ha deciso di accoglierli nell’unica struttura ecclesiale con un campo perché già da aprile era segnalato un alto numero di arrivi e il campo predisposto dalle istituzioni pubbliche in stazione da maggio non poteva più accogliere chi era senza permesso.

Così si erano spostati in una tendopoli poi sgomberata. Da allora  500 persone, tra cui alcune famiglie con bambini, età media 20 anni, vivono in una situazione certo ai limiti della sostenibilità, ma organizzata, nel campo da calcio e nei saloni parrocchiali. Le istituzioni hanno dato i bagni chimici. Poche le tende sul campo, molti i panni stesi ad asciugare, decine i migranti sul terreno assopiti per il digiuno del Ramadan e il primo caldo di questa estate. Se piove, tutti in chiesa. Vi gravitano un centinaio di volontari, anche laici, arrivano donazioni spontanee in cibo e denaro, così che la Caritas non ha speso praticamente nulla. Lo spazio dell’organo della chiesa è diventato una dispensa ben organizzata. Tra i volontari anche alcune famiglie maghrebine che hanno organizzato a turno i profughi per l’autogestione. Nel parcheggio antistante altri sono in fila davanti al camper della Croce rossa che assicura assistenza sanitaria dopo alcuni casi di varicella. Il clima è miracolosamente calmo, il sogno inglese accomuna. Tra chi sogna Londra e per arrivarci ha viaggiato dalla Sicilia fino all’ultimo lembo occidentale d’Italia c’è Ahmed, nome di fantasia, 22enne di Khartoum, Sudan, che indossa una maglia della nazionale inglese. Non ha ancora fatto domanda di asilo e non gli importa che il Regno unito abbia votato per l’uscita dall’Unione europea. «Sono partito – racconta – un anno fa, sono stato parecchi mesi come muratore in Libia. Quando ho chiesto di esser pagato, il padrone mi ha mostrato il fucile. In maggio sono riuscito a salire sul barcone pagando i trafficanti. Sono stato fortunato, la barca partita assieme alla nostra è affondata, ci sono stati 500 morti. Devo raggiungere Calais per poi andare a Londra perché là ho due sorelle. Ma non voglio restarci a lungo. Solo qualche anno per mettere via i soldi per andare a vivere negli Stati uniti». 

Secondo i dati della Caritas i sudanesi sono il 60% dei circa 500 profughi che dormono a Sant’Antonio. «Ci sono disordini in Darfur – spiega il direttore della Caritas diocesana Maurizio Marmo, che in una notte si è trovato a partire da zero per accogliere mezzo migliaio di disperati in mezzo alla strada – quasi tutti sono passati dalla Libia per lavorare senza essere stati pagati. Il 10% sono eritrei, poi senegalesi, maliani e camerunensi. Ogni giorno arrivamo 40 persone e ne partono altrettante». Non è facile passare, la Fortezza Europa si è chiusa a poche centinaia di metri da qui. I gendarmi francesi riconsegnano tanti profughi alle autorità italiane, non sempre in buone condizioni. «Ma la sorveglianza della polizia francese – aggiunge Ahmed – è forte fino a Nizza, se arrivi a Marsiglia è fatta». Il campo è stato un laboratorio per la città tornata sul confine. Ma ora ha le ore contate. Le ferrovie hanno messo a disposizione un terreno nel parco Roia, la prefettura installerà i container entro i primi di luglio e la società civile vorrebbe collaborare. La diocesi accoglie anche 16 profughi in seminario, tra cui una una giovanissima congolese e la sua bambina. Il laboratorio vorrebbe continuare quello che è stato chiamato 'modello Ventimiglia». Perciò la diocesi cerca una struttura flessibile per le accoglienze che serva anche per la formazione al servizio dei volontari. L’ideale sarebbe un ex convento dei Fratelli maristi, abbandonato da 20 anni circa. Se i religiosi ascoltassero l’appello di Francesco si potrebbe dare un letto anche per pochi giorni e informare sui propri diritti chi fa tappa qui per decidere se restare in Italia o tentare di passare la frontiera dei sogni.

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