La voragine che dobbiamo tutti vedere
martedì 14 febbraio 2023

Non è un semplice vuoto, è un’autentica voragine quella che si è aperta ieri sotto i piedi dei partiti. Di tutti i partiti, tanto quelli usciti sconfitti dalla tornata elettorale regionale in Lazio e Lombardia, quanto quelli che hanno vinto. Questa voragine, l’astensionismo, è pronta a inghiottire, al prossimo eventuale (non auspicabile, ma purtroppo nemmeno improbabile) calo di credibilità e fiducia, quel che rimane del rapporto che lega gli elettori italiani alla democrazia rappresentativa.

Guai a dimenticarsene subito, pensando solo alle leve del potere. Il rischio per la tenuta stessa del Paese è enorme, non può essere sottovalutato. Domenica e lunedì l’allarme è suonato forte e chiaro: la disaffezione degli italiani verso la politica cresce ancora e si manifesta con forza drammatica in elezioni che riguardano l’amministrazione di territori prossimi ai cittadini, come le Regioni. Due sole Regioni, d’accordo, ma non due qualsiasi, perché vi risiede circa il 25% della popolazione nazionale. La Regione della capitale politica e amministrativa, la Regione della capitale economica e finanziaria.

A proposito, a Roma due elettori su tre non hanno votato; a Milano più di uno su due. Sono perciò diversi gli spunti di riflessione che dovrebbe suscitare il crollo verticale, di oltre il 30%, dell’affluenza alle urne. Il primo riguarda, appunto, il rapporto ormai logoro di milioni di italiani con l’esercizio di un dirittodovere civico come quello del voto. Occorre con urgenza interrogarsi sui motivi di questo scoraggiamento e non si andrà molto lontano dalla verità illuminando le zone oscure delle troppe disuguaglianze sociali ed economiche, della precarietà e insufficiente remunerazione del lavoro (quando c’è), della lontananza delle istituzioni dai bisogni reali delle persone, del malfunzionamento di alcuni servizi, a cominciare dalla sanità e dai trasporti per i pendolari, a fronte di una tassazione addizionale elevata, soprattutto per quanto riguarda il Lazio. Come coniugare questa disaffezione verso le Regioni con l’aumento delle loro competenze previsto e consentito dall’Autonomia differenziata, riforma fortemente voluta dall’attuale maggioranza e già in rampa di lancio? Una risposta sensata a questa domanda richiederebbe, oggi più che mai, cautela e saggezza: un tessuto già consumato rischia di strapparsi irrimediabilmente.

Quanto alle forze politiche, l’esito del voto di domenica e di ieri trova un centrodestra sempre più destracentro e sempre più Meloni-centrico. Fdi continua ad avere il vento in poppa. Segno che la “luna di miele” con i suoi elettori non è terminata, malgrado qualche sbavatura evidente (il ripristino delle accise sui carburanti, i rapporti con gli altri Paesi fondatori della Ue, la vicenda Cospito con le accuse addirittura di contiguità alla mafia e al terrorismo nei confronti del Pd) e la difficile gestione dei rapporti interni alla maggioranza. Il partito della fiamma riesce ancora a mobilitare un voto “di appartenenza” (il 33% raccolto nel Lazio e il 24% in Lombardia sono risultati davvero notevoli) in uno scenario di rarefazione del voto “di opinione”. Proprio questo ruolo di “asso pigliatutto” potrebbe tuttavia rivelarsi, paradossalmente, la maggiore insidia per la presidente del Consiglio: Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, si sa, fanno molta fatica ad accettare la parte da comprimari che gli elettori stanno affidando loro.

E lo si è visto nuovamente domenica, con l’uscita del Cavaliere sul leader ucraino Zelensky, che tanto imbarazzo ha provocato a Palazzo Chigi e alla Farnesina, dove pure siede il numero due di Forza Italia Antonio Tajani. In area centrosinistra, invece, continua la commedia degli equivoci. Le alleanze differenziate, con Azione-Iv nel Lazio e con il M5s in Lombardia, non fugano le ombre sul futuro di un Pd che sembra ancora in stato confusionale dopo la sconfitta delle Politiche e alle prese con una macchinosa fase congressuale che dovrebbe ridefinirne una buona volta l’identità appannata. Chiunque sarà il prossimo segretario dem, dovrà ripartire dalla sostanziale tenuta registrata ieri e impegnarsi per dare le carte nella difficile partita con i due potenziali (ma allo stato incompatibili tra loro) alleati, i quali escono tutt’altro che rinfrancati da questa tornata elettorale.

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