domenica 24 gennaio 2010
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nelle diocesi«I media: una piazza, non un ring». L’invito: unire libertà e responsabilità La vigilia della ricorrenza di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, ha offerto l’opportunità ai vescovi italiani di riflettere sul mondo della comunicazione con gli operatori dei media, anche alla luce del messaggio di Benedetto XVI per la 44ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, diffuso ieri.A Genova, l’arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente della Cei, incontrando i giornalisti ha sottolineato che nel campo dell’educazione e della formazione, i mass media hanno «grandi potenzialità» e «grandi responsabilità» in quanto sono elementi imprescindibili nella «formazione del costume, del pensare, dell’agire, della visione delle cose e della vita». Il porporato ha invitato quanti lavorano nei media ad «avere un’attenzione maggiore nel comunicare anche le notizie buone e positive, che sono sempre la grande maggioranza. Anche se sembra che solo il male faccia notizia, perché è fuori dalla norma – ha detto – è sempre poco rispetto alla quotidianità di tantissima gente che vive la propria vita con dignità e con valore». Bagnasco, «parlando da pastore e non da professionista», ha poi provato anche a suggerire un criterio per la scelta delle notizie, cercando di selezionare «prima di tutto il necessario, poi l’utile, per costruire il bene» e a seguire «ciò che è buono e positivo». In precedenza, il cardinale aveva spiegato che, «come vescovi italiani, siamo sempre più persuasi che quello dell’educazione è un tema che coinvolge, non soltanto i credenti, ma si pone all’attenzione di tutti». Per questo, ha aggiunto, «pensiamo che l’impegno della Chiesa per il prossimo decennio sia non solo un servizio alla comunità cristiana ma al Paese intero».Analogo incontro si è svolto ieri tra l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, Gualtiero Bassetti, vicepresidente della Cei per l’Italia centrale, e gli operatori dei media. Secondo il presule per annunciare il Vangelo occorre «incamminare la pastorale quotidiana verso forme di comunicazione adeguate»; per questo «la Chiesa deve appropriarsi del linguaggio dei media, studiarlo, assimilarlo e impiegarlo in ogni ambito pastorale». In questo sforzo l’arcivescovo ha invitato a una «rinnovata collaborazione» tra mondo ecclesiale e mondo della comunicazione. Segno dell’impegno sul fronte dei new media, ha detto, è il sito web diocesano rinnovato. Ai giornalisti Bassetti ha espresso apprezzamento e ha richiamato temi quali il rapporto con la verità, la libertà dei media come «condizione per una società realmente libera», la giustizia e la pace.Argomenti, questi, che saranno menzionati anche stamane nella parrocchia Don Bosco di Potenza, dove l’arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo e vicepresidente della Cei per l’Italia meridionale, Agostino Superbo, presiederà una Messa alla quale parteciperanno i giornalisti. I riferimenti previsti per l’omelia saranno la figura di san Francesco di Sales e il messaggio del Papa per la Giornata delle comunicazioni sociali. Su quest’ultimo argomento, Superbo spiega che «dal Santo Padre riceviamo un invito ad annunciare il Vangelo attraverso i media: è il nostro duc in altum, è l’esortazione a prendere il largo. Perché è in questa cultura mediale che si incontrano oggi uomini e donne! È in questa cultura che nascono e si affinano opinioni e convinzioni. Anche i sacerdoti diventino testimoni di una pastorale che entra nel mondo digitale: un’avventura entusiasmante e necessaria per far giungere l’amore di Dio in ogni angolo delle moderne autostrade virtuali».Ha invece parlato anche da "collega" ai giornalisti il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, che per anni ha diretto il settimanale diocesano di Vercelli. «La comunicazione è una piazza, non un ring», ha evidenziato, richiamando il dovere del dialogo in un clima troppo spesso esacerbato dalla tendenza alla contrapposizione.Sempre ieri, il vescovo di Carpi, Elio Tinti, ha indicato l’invasività dei mezzi di comunicazione nel condizionare la vita delle persone, la rapidità con cui viaggiano le notizie e come in queste condizioni risulti cruciale per un giornalista l’accertamento della verità.il dibattitoA Milano direttori a confronto. L’arcivescovo: un patto per l’uomoÈ così da duemila anni. La Chiesa “fa notizia” perché «è essa stessa notizia»: l’annuncio della Resurrezione. E «quando un sacerdote, una suora o un vescovo prendono la parola lo fanno avendo come criterio di verità e unico metro di giudizio il Vangelo». Il giornalismo ci fa i conti tutti i giorni, con questa «verità». Che sia «notiziabile» o meno. Il cardinale Dionigi Tettamanzi ha dialogato ieri a Milano, nella festa patronale degli operatori dell’informazione, con i direttori di Corriere della Sera, Repubblica e Avvenire, Ferruccio De Bortoli, Ezio Mauro e Marco Tarquinio. Un faccia a faccia «costruttivo» per arrivare insieme alla conclusione della necessità di un «patto comunicativo – come l’ha chiamato Tettamanzi – tra Chiesa e media, in cui la preoccupazione comune sia l’uomo e il rispetto per la persona umana». Quando la Chiesa è «notiziabile», oggi, in Italia? E quando viene “messa in pagina”, è sempre «una, santa, cattolica?». Quanto è «strumentalizzata» o «banalizzata»? Come si comporta chi racconta la Chiesa «per missione»? Sono queste le domande che cercavano una risposta, in un Circolo della Stampa affollato di professionisti dell’informazione di ogni età. «L’affermazione della laicità e d’altra parte il racconto dell’identità cattolica italiana» sono tra i compiti dei cronisti di oggi, e se per il direttore del Corriere della sera l’informazione «deve attenzione rispetto» a una Chiesa «custode di valori» oggi sempre più chiamata a «una supplenza d’identità, e a volte anche a una supplenza di tipo civile», duro è stato il j’accuse di Mauro: «deboli» e «incerte» le entità in dialogo con la Chiesa; chi in politica cavalca la Chiesa «guarda più al comando che ai Comandamenti»; la Chiesa vista dai partiti come «un protettorato di valori» e in ultima analisi come «una riserva di voti»; mentre «non esiste – per il direttore di Repubblica – una riserva di valori isolata al libero gioco democratico. Non esiste una “obbligazione” religiosa a fondamento delle leggi di una Repubblica». Sul tavolo, ovviamente, bioetica, immigrazione, laicità dello Stato.«Il rischio – per il direttore di Avvenire – è che si pensi che la Chiesa parli prioritariamente alla politica, ignorando la società». Troppo spesso sui giornali «sembra che il Papa si rivolga solo a un migliaio di parlamentari italiani. O che i vescovi, in città piene di complessità, siano concentrati su un sindaco e qualche consigliere comunale». La «vulgata» contro cui ha puntato il dito Marco Tarquinio è quella dei «no» della Chiesa. «E nel comunicare la Chiesa, il compito che ci siamo posti è partire dai tanti “sì”». Quelle testimonianze a volte magari «poco notiziabili». Quella realtà «indescrivibile dai giornali» fatta di parrocchie, oratori, associazioni, movimenti... Come i ragazzi della parrocchia, a Rosarno, in piedi all’alba per andare a portare da mangiare agli immigrati. Sfuggiti per anni alle “cronache”. Eppure esempio di quella «gente normale» che una Chiesa – pure attenta agli ultimi – non dimentica mai, perché «ci sta in mezzo». La «superficialità dei mass media, in alcuni casi, è un dato di fatto» ha confermato Tettamanzi. Su «immigrazione e accoglienza, ma anche su altri temi». E una comunicazione affrettata «galleggia, anziché entrare in profondità nel mare dei problemi». Etica, bioetica, politica, immigrazione. Ma «la realtà della Chiesa va ben oltre ciò che della Chiesa fa notizia», per il cardinale. Forse a volte «si è mossa come un partito – ha annotato De Bortoli – ma non si può tacere quello che fa sul piano del contributo sociale e dell’ assistenza». Magari è un problema di «linguaggio», come ha analizzato all’inizio dell’incontro Chiara Giaccardi, sociologa e antropologa dell’Università Cattolica che per prima ha evocato, ieri, l’idea di un «patto» di chiarezza e verità tra Chiesa media. Magari può essere utile un “dizionario di ecclesialese-italiano” come il volumetto presentato ieri dalla diocesi di Milano (“Mitra al cardinale”, edizioni Centro Ambrosiano, 64 pagine, 6 euro). Magari, come ha aggiunto la docente, il problema è che il Vangelo è di per se «paradosso». Ma il «coraggio di dire cose scomode» è insito nel cristiano. E la Chiesa «ha fatto per venti secoli i conti con la modernità», ha sottolineato Tarquinio. E quando la Chiesa comunica «lo fa per declinare nell’oggi la parola di speranza del Vangelo – per Tettamanzi –. Non è quindi pertinente quantificare il successo di questa comunicazione, oppure misurarne il consenso suscitato». Tanti giornalisti cattolici, ha ricordato infine l’arcivescovo, sono riconosciuti come «maestri» anche da chi non crede. Come lo storico direttore di Famiglia Cristiana recentemente scomparso, don Leonardo Zega. Per comunicare “bene” la Chiesa – ha concluso Tettamanzi –, devono crescere i buoni professionisti di domani» (e un «ruolo importante» ha l’Università Cattolica): chi è chiamato a comunicare la Chiesa deve sapere cosa la Chiesa sia realmente.
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