martedì 11 novembre 2014
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I bambini della recessione, iniziata nel 2008, sono ormai alla fine del 7° anno (incluso) di una lunga crisi e all’inizio di un nuovo anno, che ancora si annuncia per loro non facile. La generazione iniziata nel 2008, che potremmo chiamare generazione "S" come la speranza – di cui i bambini hanno bisogno e che possono a loro volta offrire – sta crescendo nel corso di una recessione economica epocale che sembra non avere fine, ma nel corso della quale è stata particolarmente colpita da una politica economica di austerità che ha sensibilmente ridotto beni, servizi e opportunità offerti loro dalla società, nonostante l’argine di difesa delle fatiche dei loro genitori. L’ideale di un’uguaglianza delle condizioni di partenza nella vita, fondamento delle moderne società liberali, è condivisibile, ma solo a patto di riconoscere che il nastro di partenza nella vita va fissato fin dalla nascita e non al 18° anno di età, l’età del voto. È cioè fondamentale riconoscere al bambino il ruolo di persona, sia pure in formazione, con bisogni ed esigenze che gli adulti hanno la responsabilità di tutelare.
Tutti gli studi sui tratti comportamentali, le capacità fisiche e anche mentali, convergono nel riconoscere che i bambini assorbono in modo permanente cultura, comportamenti e capacità nei primi cinque, forse dieci anni di vita. Interventi "riparatori" negli anni successivi sono invece molto difficili e il grave problema della dispersione scolastica in Italia è una conferma di ciò. In altre parole, le risorse impegnate a beneficio dei bambini, per una sana alimentazione, lo spazio per i loro giochi, gli asili nido, le scuole materne e il ciclo primario, per un’organizzazione dei tempi dei genitori che consenta ai figli di ricevere l’affetto genitoriale di cui hanno bisogno quanto il cibo, tutto ciò rappresenta un investimento sul futuro e non una generica spesa. Purtroppo, la recessione ha completamente rovesciato una situazione che presentava qualche lieve miglioramento. Infatti nel 2008 i nuovi nati sono stati 577mila e anche a causa della crisi economica sono scesi a 514mila nel 2013, con una diminuzione dell’11%. Fra il 1928 e il 1933, in piena depressione e senza il sostegno dell’immigrazione, la diminuzione fu inferiore: "solo" il 7%. Ai bambini che vivono e crescono nella recessione, dobbiamo perciò aggiungere i bambini desiderati, ma non nati, proprio a causa delle difficoltà economiche dei giovani.
A questo allarme, finora non ascoltato, se ne aggiunge un secondo: il fatto che l’economia italiana si va restringendo e simultaneamente la società si va impoverendo. Infatti, non solo esiste una relazione di causalità immediata dalla crescita economica alla natalità, ma esiste anche una relazione inversa dalla diminuzione della natalità al potenziale sviluppo economico nei vent’anni successivi. Anche da questo punto di vista, dunque, la situazione dell’Italia è seria. La popolazione dei giovani di età compresa fra i 20 e i 39 anni, che si può definire "core", perché è il cuore progettuale di una società, e che rimanda per di più alla figura etimologica greca della giovinezza, in Italia è drasticamente diminuita di 3 milioni di giovani dal 1996 a oggi, nonostante l’afflusso di immigrati altrettanto giovani. È un dato impressionate, responsabilità di politiche che hanno ignorato la domanda dei giovani a cavallo degli anni ’90.
Le politiche economiche improntate all’austerità fiscale, che hanno portato all’attuale fase recessiva, sono spesso invocate in nome delle future generazioni, il che, alla luce delle precedenti considerazioni, appare a dir poco temerario, perché se ci si riferisce alla situazione attuale il futuro è già presente nei bambini, basta guardare verso il basso, e se invece ci si riferisce al futuro più lontano bisogna rendersi conto che con ciò si stanno creando le basi di una "trappola" verso il declino: già oggi l’Italia sta scivolando rapidamente verso il fondo di molte graduatorie internazionali. Il declino non è inesorabile, ma occorre comprendere, in modo definitivo, che una politica per la famiglia è l’altra gamba di una necessaria politica per l’impresa: chi ritiene che il Paese possa camminare all’interno e nel mondo su una gamba sola lo condanna o all’immobilismo o all’inevitabile caduta appena si dovesse muovere. Sul piano economico la famiglia rappresenta il centro decisionale delle scelte di domanda di beni e servizi delle imprese e di offerta di lavoro alle imprese, mentre specularmente le imprese sono il centro decisionale di offerta di beni e di domanda di lavoro. La domanda estera è necessaria, ma non sufficiente, se non vi è il sostegno di una robusta domanda interna. Per questo è necessario ristabilire un equilibrio fra domanda e offerta aggregata interna, promuovendo l’innovazione sia per le imprese sia per le famiglie sul piano dell’istruzione dei giovani.
Su questo piano è importante sottolineare che le politiche per la famiglia hanno una marginale sovrapposizione con le politiche contro la povertà, sono entrambe necessarie, ma si tratta in ogni caso di azioni con obiettivi molto differenti. Le prime hanno la caratteristica di modellarsi e seguire il ciclo di vita di una famiglia, dalla sua costituzione alla sua maturità (40-55 anni), il che include la fase di uscita dei figli giovani e il possibile emergere della necessità di cure per genitori anziani non autosufficienti. La fase di maturità è molto delicata, perché coglie la famiglia in una fase di potenziale fragilità, in particolare perché la perdita del posto di lavoro intorno ai 50 anni è un problema sociale emergente, perché il venir meno di una fonte di reddito, spesso la principale, può mettere in crisi i piani di vita non solo della famiglia, ma di una intera catena generazionale quando si considerino anche i genitori anziani.
È perciò cruciale che le politiche per la famiglia si raccordino con una nuova cultura d’impresa. Ma perché ciò avvenga è necessario un particolare sforzo per gli investimenti in istruzione e un incentivo perché le imprese italiane salgono i gradini della qualità dei prodotti, il che significa maggiore qualità del lavoro incorporato, maggiore istruzione e modalità nuove di partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa, inclusa naturalmente un’attenzione e una tutela per il lavoro delle donne e delle madri. Una politica per la famiglia che sia centrata sul suo ciclo di vita, e in particolare quello dei figli, rappresenta il complemento indispensabile di una politica per l’impresa. Ma è anche qualcosa di più e in un senso fondamentale. È il completamento di una democrazia più matura, che in modo costitutivo è in grado di ascoltare le ragioni dei bisogni, oltre che quelle degli interessi, e soprattutto dei bisogni senza voce politica, come nel caso dei bambini e dei minorenni.
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