venerdì 24 ottobre 2014
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«Stiamo assistendo a un fenomeno di ritorno verso le comunità d’origine, che il mondo della cooperazione ha saputo intercettare prima di altri» riflette Mauro Lusetti, presidente dell’Alleanza delle cooperative, tra i primi a cogliere la svolta in atto nei territori dimenticati d’Italia. «Siamo il Paese dei Comuni, non possiamo pensare che la nostra economia si concentri soltanto nelle aree metropolitane» spiega. Qual è il vantaggio delle cooperative di comunità? È la capacità di rivitalizzare le piccole comunità. Parliamo di una formula in grado di dare risposte rapide ai bisogni che via via emergono dal punto di vista sociale ed economico. In questa fase storica, c’è un altro aspetto da considerare: la richiesta crescente di gestione dei 'beni comuni' da parte della popolazione. È il segnale che ormai le comunità territoriali si muovono dentro un orizzonte temporale di molti anni, superiore al mandato di un singolo amministratore. Vuol dire che il rapporto tra terzo settore ed enti locali è cambiato? Sì, perché è cresciuta la consapevolezza che i problemi delle persone e delle loro comunità non si possono più risolvere con i tempi della politica, sia essa locale o nazionale. Basta riprendere in mano le tessere del mosaico che abbiamo davanti per capire che è così. È un discorso che vale anche per il mondo della cooperazione, che ha lavorato a lungo per avere un’unica rappresentanza, superando storici steccati ideologici. Cosa vuol dire concretamente valorizzare i beni comuni per le realtà cooperative? Penso alla produzione diffusa di energia, alla gestione delle acque, al welfare avanzato. Sono settori in cui i cittadini chiedono risposte a una serie di bisogni materiali. L’obiettivo è salvaguardare la ricchezza culturale, paesaggistica, storica, agricola, industriale che è diffusa sul territorio, dai distretti alle comunità montane. Le cooperative di comunità che hanno superato il primo anno di vita sono proprio quelle nate tra la gente, in risposta alle attese del mondo reale. La sfida adesso è consolidare le leadership imprenditoriali di questi soggetti, per dare poi continuità a queste esperienze. Crede che la riforma del terzo settore possa aiutare? La direzione è giusta, si è aperta una grande consultazione ed è importante che dall’enunciazione si passi ai fatti. Chiunque per la prima volta si misura su questo terreno è il benvenuto, anche se il tratto distintivo delle cooperative e delle imprese sociali va mantenuto. L’importante è non confondere i cooperatori con i filantropi. Che giudizio dà della Legge di Stabilità? La valutazione è positiva. Si è risolta una parte del problema togliendo di mezzo le tasse che gravano sul mondo del lavoro. Bene, adesso non ci sono più alibi per le aziende che vogliono assumere. Ora va affrontata la parte restante dell’emergenza: la ripresa degli investimenti. Se sui mercati non torna la fiducia, anche la crescita rischia purtroppo di rimanere una chimera. 
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