venerdì 14 marzo 2014

​Spesa, sui tagli decide Palazzo Chigi. Escusa la patrimoniale.
LA PROMESSA «Pensionati, né sgravi né prelievi»
UE «Misure bene, ma rispetti i patti»

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Matteo Renzi siede nel salotto di Bruno Vespa il giorno dopo la conferenza stampa a tutto cam­po sul governo. Ma adagiato comodamen­te in poltrona davanti alle telecamere di Porta a porta , il premier si lascia andare su tutto: impegni, promesse, desideri, confi­denze. Ne ha fino al 2018, quando si tornerà a votare: «Sono convinto che questa classe politica in Parlamento ha l’ultima chance per dimostrare che può fare le cose». Quali e quante cose non si contano. Renzi le ha già elencate, ma nel tempo lungo del­l’intervista non tralascia dettagli. Sempre mettendoci la faccia: «Se perdo la scom­messa immagino dove mi possono man­dare gli italiani...», ironizza. «Ci siamo dati delle scadenze. Il tema è che se il 27 mag­gio queste cose non arrivano Renzi è un buffone...». 

Il premier parla in prima persona, perché si sente il solo a rischiare. E così lo stesso mi­nistro dell’Economia Padoan viene solle­vato da responsabilità. Non è lui la «strega cattiva». Con il suo consenso, dunque, «la spending review sarà affidata a Palazzo Chi­gi » e non al ministero dell’Economia. «La colpa se la deve prendere il presidente del Consiglio». E i tagli ci saranno. Da quelli più efficaci mediaticamente, come le auto blu, a quel- li derivanti dall’abolizione delle Province. «Venderemo le auto blu all’asta così i sim­boli del potere saranno a portata di mano. Certo è un aspetto simbolico della spen­ding review poi c’è la vera riduzione delle spese». Un esempio: «Sono 108 le sedi del­la Banca di Italia e 108 sedi delle prefettu­re che piano piano vanno via» con l’elimi­nazione delle Province. Poi ci sono «gli sti­pendi dei manager della pubblica ammi­nistrazione ». Sono «troppo alti. Prendere­mo 500 milioni di euro dagli stipendi dei manager pubblici», incalza Renzi, che co­munque esclude la patrimoniale. Via, an­cora, «i vitalizi» dei consiglieri regionali. A fronte dei tagli, ci sarà chi mette in tasca, in questa «manovra» che riporta «equità sociale». 

«Dieci miliardi di euro per dieci milioni di persone. Che si tratti di 75 euro o 85 poco importa. L’importante è che ci sia la percezione che il governo ha fatto que­sto. Un’operazione di marketing? Certo, an­che ». Ma «è la prima volta» che accade. E ovviamente, conferma il presidente del Consiglio, «i soldi ci sono, il punto è dove si mettono». Ma «per mantenere la promes­sa bastano 6,6 mld di euro». Il premier dell’era digitale, tra slide e Twit­ter, continua a cercare i cittadini. «Dietro i numeri c’è una vita reale di persone che hanno visto finora le bollette crescere e gli stipendi bloccati. Per la prima volta il go­verno mette un limite agli stipendi dei con­siglieri e dà ottanta euro permanenti al me­se nella busta paga. In ogni caso tutti i da­ti verranno messi online». E poi, fiore al­l’occhiello, lo sblocco dei debiti della P.a., che però slitta. «Il 21 settembre, a San Mat­teo, se abbiamo sbloccato tutti i debiti del­la P.a., lei va in pellegrinaggio a piedi da Fi­renze a Monte Senario», scherza Renzi con Vespa. Purché «facciamo un accordo se­rio », perché «i contratti qui portano sfortu­na... », ironizza sul celebre precedente di Berlusconi. Nella rivoluzione renziana non mancherà la riforma della Sanità. «Abbia­mo dei margini di miglioramento. La spen­ding review la facciamo, ma i soldi li lascia­mo sulla Sanità», perché, spiega, «mi fan­no notare che la Sanità è un settore in cui aumentando l’età media, deve aumentare necessariamente la spesa». Riforme su riforme, senza ascoltare i sin­dacati? «Sì – replica il premier senza timo­re – . Le cose le decidiamo noi. Ci pagano per questo. Poi se sbaglio, pago io». E allo­ra, si scherza: «I tavoli li fanno i mobilieri, noi risolviamo i problemi». 

E giù duro: «Sa­rebbe bello sapere quanti lavoratori rap­presentano i sindacati Cgil, Cisl e Uil». Trat­tamento duro anche per «i dirigenti pub­blici » che «per definizione non possono es­sere a tempo indeterminato». Quanto alle nomine, «ci sono cinque grandi aziende che scadono: Eni, Enel, Finmeccanica, Ter­na e Poste. In un tweet, «prima la missio­ne, la strategia, poi i nomi». Barra dritta, poi, sulle riforme, con le scadenze già e­lencate. E il lato umano. Una battuta su Bru­netta, che lo paragona a Tremonti: «Nella sua scala subito dopo c’è 'stalinista'». E u­na su Letta, con cui non pensa ora a ricu­cire. «Ognuno ha le sue amarezze perso­nali. Io ho un bel pelo sullo stomaco, ma spesso la sera è dura inghiottire quello che c’è da inghiottire». Poi avanti a testa bassa per conquistare i voti degli avversari. Alle politiche più che alle europee.

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