venerdì 25 settembre 2020
I figli dei migranti di Castelvolturno giocano a basket e aspettano i 18 anni per poter diventare italiani. Il mister: non potevano pagarsi gli allenamenti, ora sono la squadra Tam Tam Basketball
I giovani di Tam Tam con l'allenatore

I giovani di Tam Tam con l'allenatore

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Nel 2017 intervenne direttamente il governo per consentire la loro iscrizione ai campionati regionali. La norma fu inserita nella Legge di Bilancio in extremis. Ma, a tre anni di distanza, la squadra di basket Tam Tam, composta dai figli degli immigrati di Castel Volturno, si trova di nuovo a lottare per essere ammessa ai tornei nazionali giovanili.

Dopo anni di battaglie, vari ricorsi al Tar del Lazio, i ragazzi del Tam Tam Basketball hanno scritto direttamente al presidente della Federazione italiana pallacanestro, Gianni Petrucci, per chiedere di essere ammessi ai campionati. Sono tutti nati e cresciuti a Castel Volturno da genitori africani, ma in attesa della cittadinanza italiana – che arriverà al compimento del diciottesimo anno di età – risultano tutti extracomunitari. Racconta Massimo Antonelli, ex campione d’Italia di basket con la Virtus Bologna di Dan Peterson e fondatore del Tam Tam Basketball. «La norma varata dal governo Gentiloni consentiva la partecipazione dei ragazzi ai campionati. Ma, una volta che la nostra under 15 ha vinto quello regionale e ha provato a iscriversi l’anno successivo a quello nazionale, sono ricominciati i problemi. Sfruttando la propria autonomia, la federazione ha mantenuto la norma per quanto riguarda i tornei regionali, ma non l’ha applicata a livello nazionale. Lì resta intatto il limite dei due stranieri». Da lì ricorsi al Tar del Lazio, battaglie burocratiche e ora la lettera aperta al presidente Gianni Petrucci, affinché il Consiglio federale della Fip accetti l’iscrizione in deroga dei ragazzi di Castel Volturno. Per Antonelli «non è comprensibile che si consenta ai figli degli immigrati di studiare nelle nostre scuole, ma non di fare sport. Si tratta di una vergogna tutta italiana. Esiste un vero e proprio diritto al gioco che non può essere tolto a questi ragazzi. Lo sport, come la conoscenza, è un pilastro della formazione. È come se si dicesse ai ragazzi: 'Puoi fare tutto, ma non quella materia lì'. In questo senso, lo sport può rappresentare una strada verso quello che deve essere il vero obiettivo della nostra comunità nazionale: la cittadinanza».

Antonelli arrivò in quella che è stata ribattezzata l’'Africa d’Italia' – dove vivono circa 20mila immigrati, difficili da quantificare in quanto in gran parte irregolari – nel 2016. Il suo obiettivo e quello dei suoi soci è far giocare a basket questi ragazzi, che normalmente non possono permettersi di pagare la retta mensile a una scuola di pallacanestro. Aiutato dai suoi soci, da qualche sponsor e dal crowfunding, riesce a metter su il Tam Tam Basketball senza che nessuno paghi un euro. Ma ben presto si rende conto che la realtà è molto più dura di quanto sembra. Molti ragazzi si presentano in ritardo all’allenamento. All’inizio lui va su tutte le furie, poi qualcuno va a spiegargli che il ritardo è dovuto semplicemente al fatto che i figli degli immigrati non hanno nessuno che li accompagni e devono andarci a piedi, al campo. Non hanno nemmeno i soldi per un biglietto dell’autobus, i figli dei lavoratori sfruttati dai caporali nelle campagne del Casertano. Allora Antonelli capisce che non solo non devono pagare la retta, ma anche tutto il resto (attrezzature, abbigliamento). È questa la filosofia che ispira la squadra di Castel Volturno. Il suo fondatore la chiama giving back philosophy, che porta a restituire ciò che si è ricevuto in dono. All’inizio si allenavano in un campetto 'sgarrupato', come si dice da queste parti, sul litorale domizio. Ora sono ospiti del palazzetto dello sport cittadino, anch’esso abbastanza 'sgarrupato'. Solo fra poche settimane sapranno se potranno giocare ancora.

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