sabato 9 maggio 2015
Il Tar annulla i limiti posti dalla Regione. Restano ignorate le indicazioni mediche.
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Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha annullato la delibera della Regione con cui si fissava a 43 anni il limite per le donne nell’accesso alla fecondazione eterologa nelle strutture pubbliche. Si abolisce così un’indicazione stringente sull’età, suffragata da motivazioni rigorose di tutela della salute della donna e del bambino. Infatti, secondo gli studi e la letteratura scientifica in materia, pur aumentando le bassissime percentuali di successo (2,6% di gravidanze nelle donne over 43) rispetto alla fecondazione omologa, cioè con ovuli e spermatozoi della coppia stessa, dopo questa età è statisticamente più difficile arrivare a una gravidanza a buon fine anche ricorrendo a ovociti 'freschi' provenienti cioè da una donna più giovane. Inoltre, secondo gli esperti, le over 43 che chiedono l’eterologa rappresentano il 70% del totale. Stante il costo medio per le Regioni di circa 3.500 euro per ogni prestazione di questo tipo e la cronica carenza di donatori e donatrici che apre la porta al commercio dall’estero dove il costo degli ovociti si attesta sui 2.500 euro, sono ovvie le ricadute in termini di economia sanitaria. Non è difficile immaginare che l’esenzione dal ticket per queste prestazioni, sottoporrà i già critici budget della sanità regionale a contraccolpi destabilizzanti.  Nelle motivazioni il Tar cassa la delibera perché «viziata per violazione dei principi costituzionali di uguaglianza, nonché diritto alla genitorialità e alla salute». Il riferimento è a un precedente provvedimento con cui, nel 2011 la giunta regionale del Veneto aveva già innalzato a 50 anni l’età per sottoporsi gratuitamente ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita di tipo omologo. Il Tar ha tenuto conto anche delle obiezioni presentate dagli avvocati della coppia ricorrente, che hanno denunciato l’incongruenza della delibera con quanto previsto dalla Legge 40 che parla di «età potenzialmente fertile». Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni che ha seguito la coppia, ha parlato di «limite immotivato per le donne», auspicando che «venga rimosso anche nelle altre Regioni: Piemonte, Emilia Romagna e Toscana». Il termine di 43 anni per poter accedere all’eterologa a carico del Servizio sanitario nazionale è contenuto nel documento elaborato dalla Conferenza delle Regioni – e approvato dai governatori – all’indomani della sentenza con cui la Consulta, lo scorso anno, aveva dato il via libera a questo tipo di trattamenti lasciando però un vuoto normativo e applicativo non colmato. «Questa sentenza ripropone il tema della tracciabilità degli elementi procreativi – commenta Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato – che vanno trattati con la stessa logica di gratuità e solidarietà che sostiene la donazione di sangue, organi, midollo». «Non si deve parlare di vittoria o sconfitta – ha dichiarato Luca Zaia, presidente della Regione del Veneto – ma di passi in un cammino complesso anche per motivi etici, come quello dell’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale che ha portato alla decisione nazionale di erogare la fecondazione eterologa». In quest’ottica, Zaia ha assicurato di «non avere alcun problema» a «ridiscutere» il limite di età.
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