martedì 5 dicembre 2017
Solo un posto letto su dieci per i non autosufficienti. Cresce il divario Nord-Sud. Il rapporto fotografa il sostanziale riequilibrio dei conti delle Regioni. Pesa la mancata assistenza ai pazienti
La sanità dimentica i malati più gravi
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Da un lato l’obiettivo strettamente contabile: colmare il deficit economico. E dopo anni di “austerity”, di politiche di contenimento della spesa, di Regioni con i conti in rosso impegnate in duri piani di rientro, la sanità pubblica italiana è ritornata in sostanziale equilibrio finanziario, a livello nazionale e nella maggior parte dei sistemi regionali. Con un avanzo di addirittura 329 milioni di euro per il 2016. L’altra faccia della medaglia, però, resta la qualità del servizio offerto. Cosa si nasconde dietro i numeri? Una realtà che di equilibrato ha poco o nulla. A discapito dei pazienti, in particolare dei più fragili. Come segnala il rapporto Oasi 2017 (Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano), curato da Cergas-Sda Bocconi e presentato ieri a Milano.

L’abisso Sud. Un dato, su tutti, desta l’allarme degli analisti: l’allarmante e permanente divario tra Nord e Sud del Paese in tema di salute della popolazione. Basti guardare al gap sulla speranza di vita sana: dai 70 anni di Bolzano si crolla ai 50 della Calabria. Una differenza incredibile di 20 anni. E se la forbice fra i due estremi è enorme, in generale il divario Nord-Sud spezza a metà il Paese: la speranza di vita media in buona salute è di quasi 60 anni al Nord e di 56 al Sud, si spiega nel report che dal 2000 monitora i cambiamenti in atto nelle politiche sanitarie e nel management delle aziende sanitarie pubbliche e private. Anche l’autopercezione del proprio stato di salute da parte dei malati cronici suona lo stesso campanello d’allarme: al Nord il 49,6% dei cronici si percepisce in buona salute, al Sud la percentuale scende al 36,6%. E ad aggravare questa iniquità geografica c’è anche la spesa sanitaria privata delle famiglie: la Lombardia, con 752 euro per abitante, registra valori più che doppi rispetto alla Campania, con 303 euro.

Il vuoto di assistenza. L’Italia invecchia e ha a che fare con l’età anche il tallone d’Achille della sanità pubblica, che rischia di cadere proprio sull’assistenza di lungo termine e sulla cronicità. Nel Paese si contano 2,8 milioni di anziani non autosufficienti, e i 270mila posti letto dedicati (sociosanitari residenziali pubblici o privati accreditati) coprono meno del 10% del fabbisogno. Le cure domiciliari risultano «largamente insufficienti a colmare il vuoto», riducendosi in media a 17 ore per paziente preso in carico. Sono allora le famiglie ad auto-organizzarsi, o attraverso un impegno diretto nella cura del proprio caro o con l’aiuto di un caregiver informale, una badante, oppure ricorrendo al ricovero sociosanitario in regime di solvenza completa. E in questo quadro il Sud, già penalizzato, è del tutto dimenticato.

Camici grigi. Con la popolazione, poi, invecchiano i medici e gli strumenti: in Italia il 52% dei medici ha più di 55 anni, contro il 13% del Regno Unito o il 43% della Germania. E se è vero che nel 2016 il Servizio sanitario nazionale ha speso 115,8 miliardi di euro (una cifra in crescita dell’1,1% sul 2015, e che è aumentata in media dello 0,7% l’anno tra il 2010 e il 2016) il report rileva che «la spesa per il personale è diminuita di 6 punti tra il 2010 e il 2016, con la conseguente allarmante crescita dell’età media degli operatori». Di più: nel complesso la spesa per beni e servizi, pari al 33,6% del totale, supera quella del personale (29,7%). Sul fronte dei medici si contano poi il doppio dei candidati rispetto ai contratti finanziati (13.802 contro 6.725), mentre gli infermieri sono la metà rispetto a quelli presenti in Germania, tanto per fare un altro paragone. Sei ogni mille abitanti: pensando alla mancanza di assistenza ai malati cronici, davvero troppo pochi.

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