giovedì 6 gennaio 2011
Ieri a Herat il ministro della Difesa ha ricostruito la dinamica dello scontro in cui è caduto il militare italiano: vittima di gruppi di insorti. Si era parlato di un cecchino, ora emerge che la base era sotto attacco e Matteo era salito in torretta per dare manforte.
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Cambia la versione sulla morte del soldato italiano in Afghanistan il 31 dicembre. E a dare gli ultimi, sconvolgenti dettagli è stato ieri il ministro della Difesa Ignazio La Russa, in visita ad Herat. L’alpino Matteo Miotto è stato ucciso durante un vero e proprio scontro a fuoco, durato decine e decine di minuti. E ha fatto tempo ad accorgersi di quello che gli stava succedendo.Lo scontro a fuoco. Il caporal maggiore di Thiene, dunque, non è stato ucciso da un isolato e infallibile cecchino, ma da un proiettile che lo ha raggiunto nel corso di una sparatoria ingaggiata dalla base Snow, nella valle del Gulistan, con un gruppo di assalitori. «L’uccisione di Miotto – ha aggiunto La Russa – è opera di un gruppo di terroristi, di “insurgent”, non so quanti, che avevano attaccato l’avamposto». «All’attacco – ha proseguito il titolare della Difesa – ha risposto chi era di guardia, con armi leggere e altri interventi: a questi si è aggiunto anche Miotto». Il caporal maggiore, in base a una prima ricostruzione, faceva parte di una «forza di reazione rapida» ed era salito sulla torretta di guardia, dove poi è stato colpito, a dare man forte. Erano in due sulla torretta e sparavano a turno: uno sparava e l’altro si abbassava. Proprio mentre Matteo si stava abbassando è stato colpito da un cecchino che ha puntato un fucile di precisione, ex sovietico, degli anni ’50, un Dragunov, reperibile anche al mercato nero di Farah.Le ultime parole. «Matteo Miotto ha avuto il tempo di accorgersi di quello che stava accadendo e ha gridato "mi hanno colpito" prima di perdere conoscenza». Sono state le ultime parole dell’alpino. «Subito dopo – ha continuato il ministro – è stato richiesto anche un intervento di un aereo americano, che è riuscito a disperdere gli insorti». Lo scontro, che ha coinvolto tutta la postazione formata da un plotone rinforzato, «è durato parecchie decine di minuti».Italiani in pericolo. Dopo la ricostruzione della morte di Miotto, La Russa ha poi registrato come le azioni ostili contro i militari italiani non siano diminuite: «Pensavo che il numero degli attacchi si affievolisse con l’inverno, invece non è stato così. Il pericolo è diversificato. A Herat il rischio, che probabilmente ci sarà anche fra dieci anni, è quello dell’attentato terroristico. Adesso siamo lì – ha continuato – prima ci passavamo e basta, ora siamo negli avamposti con turni che durano anche 14 giorni di fila. La fase di transizione sta andando avanti, ma nessuno si illude che sia agevole, senza rischi o pericoli». Una preoccupazione condivisa anche dal generale Marcello Bellacicco, comandante del contingente, che ha tracciato un bilancio degli ultimi due mesi e mezzo. Dal 18 ottobre, infatti, gli “eventi” che hanno riguardato gli italiani sono stati 133: 27 attacchi a tiro diretto, cioè con armi leggere; 5 a tiro indiretto, vale a dire con armi leggere e mortai; 6 di tipo combinato, diretto e indiretto; 5 gli ordigni esplosi contro mezzi italiani; 57 i ritrovamenti di armi ed esplosivi; 5 gli incidenti stradali e 28 le azioni ostili di minore importanza. Gli episodi, che nella regione ovest a comando italiano hanno coinvolto i militari di tutti i contingenti che fanno parte del Regional Command West, sono stati invece 338. «L’ultimo luttuoso evento, la morte di Matteo Miotto – ha poi concluso La Russa – si aggiunge alla lista troppo lunga dei nostri uomini in divisa che hanno dato la vita nell’adempimento del loro dovere in questa difficile missione che voi portate a termine qui in Afghanistan. Mi auguro che quella di Matteo sia davvero l’ultima triste morte».
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