lunedì 21 dicembre 2020
Per la professoressa Stracqualursi, che insegna a Bologna, si erano mobilitati studenti e amici. Prima la raccolta di fondi, poi la speranza nelle Car T, infine un’altalena di emozioni. «Sto guarendo»
La professoressa è tornata a insegnare. «L’amore vince sul cancro»
COMMENTA E CONDIVIDI

«Così aiuteremo la prof». Solidarietà concreta (attraverso una raccolta fondi che ha raggiunto i 300mila euro) e impegno per la ricerca a favore della prof malata. Così, nel marzo 2019, "Avvenire" raccontava la battaglia della docente di Statistica di Bologna.

«Luisa vive se l’aiutiamo». Così i suoi studenti e colleghi avevano profeticamente chiamato la raccolta fondi a favore di Luisa Stracqualursi, docente di Statistica dell’Università di Bologna, aggredita da un tumore molto invasivo, contro cui pareva non ci fossero speranze. Ora, a distanza di quasi due anni, Luisa vive davvero.

La mobilitazione
La storia inizia a gennaio 2019: la sua malattia non risponde più alla terapia oncologica. La donna lottava già dal 2014 contro un carcinoma infiltrante al seno per cui i medici avevano dato poche speranze. Ma Luisa e i suoi amici non si arrendono: mettono in piedi una raccolta fondi, per poter accedere al trial di Car T al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York. I costi sono proibitivi, ma ben 5mila persone aderiscono alla raccolta e in pochi mesi donano più di 300mila euro. A fine agosto 2019 Luisa parte per gli Stati Uniti, ma gli esami a cui si sottopone non le consentono di avviare la terapia. Tuttavia, l’équipe statunitense, in accordo con l’oncologia Addarii del Sant’Orsola di Bologna, approntano una terapia di mantenimento. A marzo 2020 un nuovo peggioramento.
«Il mio fisico non tollerava più la chemioterapia» spiega Luisa «e i medici decisero di sospendere le cure. Il dolore toracico non regrediva, iniziarono le crisi respiratorie». A giugno, il Memorial propone un trial di immunoterapia avanzata di fase 3 (non esistente in Europa), che stava dando buoni risultati, ma il dolore non consente a Luisa di partire.


Oltre il dolore

«Ormai pensavo fosse giunta la fine. Gli oncologi bolognesi mi incoraggiavano a non arrendermi» racconta la professoressa, ma «questo è stato il momento più buio del mio percorso, mi sono sentita abbandonata da Dio. La sofferenza era troppa». Nel frattempo, però, Luisa conosce Stefano Vitali, «un riminese, plurimetastatico, che aveva ricevuto un miracolo: era completamente guarito dal cancro affidandosi alla Beata Sandra Sabattini. Mi disse di affidarmi nonostante il dolore, ma io non riuscivo più a sentire la presenza di Dio». I primi di luglio Luisa deve sottoporsi ad un intervento, a Bologna. «Ero troppo provata e non mi sentivo di affrontarlo. Poi, una sera, la mia amica Tiziana, vedendomi nello sconforto mi disse: "Se ti propongono questo intervento, vuol dire che il Signore ti chiede questo!". Quelle parole mi entrarono nel cuore. Per la prima volta sentii la pace interiore e sperimentai la Sua presenza. Anzi: Dio non era mai andato via, ero io ad essermi allontanata».


La prova e la fede
La professoressa accetta così di operarsi. Le sue condizioni, inaspettatamente, migliorano: gli esami sono buoni, il tumore è stabile. «I primi di novembre sono tornata ad insegnare ai miei studenti. Mi sembra un sogno, un bellissimo sogno. Ora spero che la prossima Pet continui ad andare bene. Sono grata a tutte le persone che mi hanno sostenuta in questo cammino, sono riconoscente per quest’ondata di amore che mi ha travolta, del tutto inaspettata. Ecco perché la mia parola d’ordine, oggi, è credere». Credere precisamente in tre cose. «Primo: nella ricerca, perché quello che non esiste oggi potrà esistere domani. Secondo: negli altri, perché nessuno si salva da solo e solo aprendoci agli altri possiamo dare e ricevere tantissimo. Terzo: dobbiamo credere che in ogni uomo c’è molto di più di quello che appare, perché siamo figli di Dio". La battaglia di Luisa non è finita. Continua, «dando valore ad ogni istante che passa».

DA SAPERE L’innovazione delle Car-T

Una delle terapie più innovative nella lotta ai tumori è quella cosiddetta delle Car-T. È un termine inglese che sta per "Chimeric antigen receptor T-cell". Proviamo a spiegare. Il nostro sistema immunitario, che ci difende da cellule estranee o pericolose, a volte, a causa di meccanismi di evasione messi in atto da alcune di queste cellule, non è in grado di proteggerci perché non le riconosce come cattive. Le Car-T sono linfociti T (cellule) geneticamente ingegnerizzati che, esponendo sulla loro superficie un recettore specifico, insomma dotandosi di una "spia", riescono finalmente a riconoscere le cellule tumorali come un pericolo per l’organismo e, di conseguenza, ad ucciderle. Questi linfociti T sono definiti "chimerici" perché costituiti da due componenti: una porzione che riconosce il target tumorale, quindi i nostri nemici, e una porzione che permette loro di attivarsi contro questi nemici, come dei veri killer ’buoni’.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: