mercoledì 21 luglio 2010
I giudici di Caltanissetta: «Siamo a una svolta». Ma Pisanu smentisce: «Mai dette queste cose». Nei colloqui esaminati anche lo stato dell’arte di Cosa Nostra – che secondo i pm sarebbe indebolita rispetto al passato – e le presunte divergenze tra i magistrati sulle rivelazioni dei pentiti.
COMMENTA E CONDIVIDI
Un passo. È quello che separerebbe i giudici di Caltanisetta dalla verità sulla strage di via D’Amelio. Una verità clamorosa, «di cui la politica potrebbe non reggere il peso». All’indomani dell’anniversario della morte del giudice Paolo Borsellino si è tornati a discutere di Cosa nostra, ieri, nelle aule della prefettura di Palermo, davanti alla commissione nazionale Antimafia. E ai microfoni dei giornalisti, è stato ancora il procuratore capo di Caltanisetta, Sergio Lari, insieme al suo aggiunto Domenico Gozzo, a fare dichiarazioni pesanti. «Non siamo mai stati tanto vicini a una svolta», ripetono i giudici nisseni, che hanno riaperto le indagini sull’eccidio del 19 luglio 1992 ricostruendo le complesse trame che legano insieme l’arresto di Totò Riina e la latitanza di Bernardo Provenzano, la posizione intransigente di Salvatore Borsellino e le manovre messe in atto per sventare ulteriori e più drammatiche offensive della mafia corleonese: «La magistratura sarà capace di reggere le verità che vanno emergendo sulle stragi – aggiunge poi Gozzo –. Anche lo Stato sarà in grado di sostenerle. Non so, invece, se altrettanto saprà fare la politica».Le dichiarazioni rimbalzano tra i siti web e le agenzie, finché – a sorpresa – pochi minuti dopo vengono smentite dal presidente della commissione nazionale Antimafia in persona, Beppe Pisanu, in una nota destinata ad aprire una caso: «Non si può riferire alcunché dello svolgimento dei lavori della commissione in seduta segreta», specifica il testo, in cui poi si nega decisamente che i magistrati di Caltanissetta abbiano fatto le stesse dichiarazioni in sede di audizione.A Palermo si consuma così la seconda giornata convulsa, dopo quella delle commemorazioni di Borsellino, segnata da plateali contestazioni e aspre polemiche politiche. leri peraltro, al cospetto della commissione Antimafia, erano stati sentiti anche i giudici di Palermo. Sul banco, oltre alle dinamiche del "colossale depistaggio" – così com’era già stato definito da Lari lunedì – che avrebbe compromesso le sentenze passate in giudicato per i processi Borsellino 1 e 2 (e per i quali sono stati chiesti numerosi ergastoli), anche lo stato dell’arte della mafia e le presunte divergenze tra le due procure sulla posizione da assumere rispetto alle rivelazioni di Massimo Ciancimino.Sul primo punto è tornato ancora Lari: «Sono trascorsi due anni dalle prime dichiarazioni di Gaspare Spatuzza – aveva detto –. Dagli elementi che abbiamo acquisito sembrerebbe proprio che non sia stata solo la mafia a volere la strage di via D’Amelio». Sulla trattativa tra Stato e mafia, Lari aveva poi ribadito che ci sono stati «soggetti che pur avendo dovere di fedeltà alle istituzioni hanno tradito questi princìpi. Dello stesso parere il procuratore capo di Palermo Messineo, che aveva spiegato alla commissione come quella sulle stragi fosse una "verità impervia", «che si cerca dopo 18 anni e che passa anche attraverso certi apparati istituzionali».Altro punto di vista comune tra i due procuratori, quello sulla situazione attuale di Cosa Nostra, che risulterebbe indebolita rispetto al passato e incapace di ricostruire strutture di comando valide per sostituire i suoi capi arrestati. Diverse, invece, le posizioni sulle dichiarazioni di Ciancimino: «Interessano solo marginalmente la strage di via D’Amelio», aveva ribadito Lari, sottolineando come la procura di Palermo sia invece «più fiduciosa»: «Non ci sono comunque divergenze – aveva poi aggiunto –. Continueremo a collaborare».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: