sabato 3 agosto 2013
Dagli interrogatori depositati emerge il ruolo dei partiti nelle nomine per i vecchi vertici della banca. Da destra a sinistra «ognuno aveva i suoi referenti».
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«Domani potrebbe essere troppo tardi». Due giorni dopo David Rossi, fino ad allora capo della comunicazione di Mps, si uccise lanciandosi dalla finestra del suo ufficio di Siena. La frase trapelata in questi giorni sarebbe contenuta in una email inviata da Rossi. Archiviato come suicidio, la procura di Siena vuole ora vederci chiaro su alcuni fatti successivi a quel tragico episodio. Ci sono già due indagati. Si tratta di persone che avrebbero tentato di ricattare qualcuno della nuova dirigenza Mps. Notizie che arrivano quando dalla lettura delle 20mila pagine di atti depositati dalla procura a conclusione delle indagini sul vecchio vertice della banca senese, emerge con forza quale ruolo avesse la politica che da sinistra a destra partecipava ai destini dell’istituto di credito.Il giallo intorno alla morte di Rossi promette sviluppi fin dalle prossime ore. I pm Nicola Marini e Aldo Natalini hanno firmato l’archiviazione relativa alla morte avvenuta lo scorso 6 marzo sostenendo che non ci sono responsabilità di terzi, ma allo stesso tempo la procura ha iscritto due persone, in un fascicolo parallelo. Il nuovo amministratore delegato di Mps, Fabrizio Viola, il 5 luglio scorso avrebbe consegnato alcune email inviategli da Rossi pochi giorni prima che si togliesse la vita. A quanto trapela, qualcuno tra i pochissimi a conoscenza di quei messaggi, avrebbe inutilmente tentato di ottenere vantaggi personali, minacciando di farne circolare il contenuto.Intanto, dalla documentazione depositata dai pm in vista della richiesta di rinvio a giudizio emerge il ruolo della politica nelle vicende senesi. Niente di penalmente rilevante, a quanto accertato fino ad ora. Soprattutto gli atti d’inchiesta rivelano di come, prima ancora che i politici, siano stati i dirigenti di Mps a premurarsi di ottenere "coperture" dai partiti. La nomina di Gabriello Mancini alla guida della Fondazione Mps (l’organismo che di fatto decideva i destini dell’Istituto) e di Giuseppe Mussari alla presidenza della banca fu decisa dai vertici della politica senese e nazionale. A dirlo è lo stesso Mancini in un interrogatorio del 2012. «La mia nomina, come quella dell’avvocato Mussari alla guida della banca, fu decisa dai maggiorenti della politica locale e regionale e condivisa dai vertici della politica nazionale», ha dichiarato Mancini. Alle riunioni a Siena «partecipavano l’onorevole Franco Ceccuzzi (Pd), il segretario provinciale della Margherita Graziano Battisti, il sindaco e il presidente della Provincia di Siena (tutti in area Pd, ndr)», ha aggiunto Mancini riepilogando i passaggi che lo portarono per la prima volta ai vertici della Fondazione, nel 2006. A Roma vi fu un’altra riunione «con l’onorevole Francesco Rutelli, alla quale partecipai io e alla quale erano presenti l’onorevole Alberto Monaci (attuale presidente del Consiglio regionale toscano, ndr), l’onorevole Antonello Giacomelli (Margherita-Pd, ndr) e Battisti». Il via libera sarebbe arrivato da Rutelli, al quale «venne prospettato l’accordo raggiunto e lui diede il suo assenso». «L’onorevole Ceccuzzi mi riferì che anche per i Ds vi fu un assenso a livello nazionale», ha aggiunto Mancini e lo stesso Mussari «mi confermò di avere il sostegno del partito a livello nazionale». Peraltro sempre Mussari avrebbe sostenuto di avere «un cordiale rapporto anche con Veltroni – ha ricordato Mancini –, quando questi divenne segretario del Pd».Nel 2009 la banca rinnovò il consiglio di amministrazione. Fra i nomi da confermare c’era quello di Andrea Pisaneschi, «persona vicina all’onorevole Gianni Letta». Mancini dice di aver chiesto un appuntamento all’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio. «Chiesi indicazioni all’onorevole Letta circa la nomina del componente del cda in quota Pdl – ha dichiarato Mancini – ed egli mi disse che andava certamente bene la conferma di Pisaneschi, ma che avrebbe dovuto parlarne con il presidente Berlusconi». Stessa cosa per Carlo Querci, «espressione dei soci privati». Dopo alcuni giorni Letta, stando al racconto di Mancini, lo richiamò per rassicurarlo: «Il presidente (Berlusconi, ndr) aveva dato il suo assenso alle due nomine».
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