martedì 20 novembre 2018
Contestato nella sua Pomigliano, interrotto più volte a Caivano, affrontato viso a viso dai licenziati Fiat. Non riesce la «riconnessione sentimentale» del vicepremier con la sua terra.
Di Maio a confronto con cinque licenziati Fca

Di Maio a confronto con cinque licenziati Fca

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La fame urla, urla sempre. Urlava contro Berlusconi, contro Renzi. E ora, per uno strano scherzo della politica, ha scelto di urlare contro Di Maio e non contro Salvini. È il filo rosso di una giornata, quella di ieri, che per il vicepremier M5s doveva segnare una «riconnessione sentimentale» con la sua terra, i suoi temi. Una giornata iniziata nel punto alfa del suo collegio elettorale, Pomigliano, e concluso nel punto gamma, Caivano, poco dopo una pioggia torrenziale. E segnata da ridotte ma rumorose contestazioni. Nella sua città, di buon mattino, 50 studenti dei Licei che gli urlano contro slogan anche volgari e offensivi, come se Di Maio fosse l’ultimo erede della nomemklatura partitica. A Caivano, invece, davanti a 2mila cittadini, il suo comizio di 40 minuti è interrotto più e più volte da persone che gli urlano questioni personali. «Ho 53 anni, non mi prendono a lavorare e i figli non mi aiutano». «Ho la pratica del condono dal 2003...». «Luigi, il lavoro, il lavoro!». Una strana e beffarda rivalsa della democrazia diretta, per cui la promessa «uno vale uno» diventa una croce da sopportare e che non può essere colmata dalla lista delle cose fatte e in itinere, dai vitalizi alla legge di bilancio al ddl anticorruzione.
La folla c’è, a Caivano. Ma deve imparare un lessico nuovo. «Non potevamo fare in 5 mesi ciò che gli altri hanno peggiorato in 30 anni», parte Di Maio. La folle capisce e non capisce. Il vicepremier non è fresco come in campagna elettorale. Deve spiegare complesse questioni parlamentari, europee, giuridiche. Si accorge che spiegare come si governa non è facile. E allora chiede aiuto: «Ce la facciamo se non ci lasciate soli, se non voltate la faccia dall’altra parte…». Ma la fame urla, appunto. Urla di continuo. E a Caivano Luigi è costretto anche a chiedere di smetterla ad alcune persone che, pur senza imputargli niente, chiedono la soluzione immediata, spicciola, di problemi che si portano dietro da anni. Poi dopo scende dal palco e cerca di capire, aiutato da Bonafede e dal suo staff.
Ma l’amarezza più grande della giornata è forse nella sua Pomigliano. Lì avviene il ribaltamento. I liceali contro per strada a protestare. I ragazzi dell’Istituto tecnico “Barsanti”, dove lui presenta un protocollo di formazione al lavoro nel settore delle telecomunicazioni, che gli chiedono foto e selfie. I figli del ceto medio di Pomgiliano, da cui lo stesso Di Maio proviene, inviperiti. I figli del popolo che se lo stringono come fosse un amuleto. E sempre lì, a Pomigliano, arriva un altro conto salato per Luigi. I cinque licenziati Fiat-Chrysler che ora vogliono una sua risposta chiara. Lo incontrano nella rettoria del Carmine, luogo caro a Di Maio. Ma prima, a favore di telecamerina digitale, gli chiedono di dire un pubblico se li può far reintegrare in Fiat. Il vicepremier è costretto ad esporsi: «Non è giusto che mi trattate così. Voglio aiutarvi ma avete addosso una sentenza di Cassazione...». Anche di fronte a questi cinque concittadini il vicepremier comprende che chi ha fame gli concede, forse, un tempo troppo esiguo per provare a risolvere i problemi. È qualcosa che lo stesso Di Maio ha intuito da settimane leggendo i sondaggi: un clima che condona a Salvini tutto o quasi, a lui poco. Nei giorni scorsi il vicepremier M5s ha dato la colpa ai giornali, che tiferebbero per la Lega. Ieri forse il leader pentastellato si è accorto che si tratta di qualcosa di più profondo, un mutamento di clima non dentro l’opinione pubblica creata a tavolino dalle elite, ma dentro l'opinione pubblica delle persone in carne e ossa.
Perciò non è passato inosservato un passaggio della conferenza stampa di Caserta sulla Terra dei fuochi. Il riferimento è ai 20 deputati che contestano il dl sicurezza. «Comprendano – li avverte Di Maio – che il governo cade se la maggioranza non è autonoma». Vuol dire che nel momento in cui fosse decisivo l’appoggio di Fi o Fdi, non varrebbe più la pena pagare prezzi personali e politici così alti. Vuol dire che chi, dentro M5s, si mette di traverso, deve sapere che Di Maio non ha paura del voto anticipato. Che, anzi, può tornare molto di moda se l’alleanza con la Lega produce questa disconnessione sentimentale (tutti i meriti a Salvini, tutte le colpe a Di Maio) anche e addirittura nei luoghi dove tutto è iniziato.

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