sabato 20 giugno 2020
L'Istat: a causa dell'alto tasso di mortalità, l'aspettativa di vita è scesa da 84 a 82 anni; nella Bergamasca addirittura 5 anni in meno. I dati settimanali di Iss-Minisnsa sui contagi
L'aspettativa di vita in calo di 2 anni al Nord con l'epidemia

Ansa

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Bassa criticità: la pandemia in Italia si sta spegnendo. Ma se prima che scoppiasse il coronavirus nel nostro Paese si poteva sperare in una vita mediamente più lunga, cioè fino a 84 anni, d’ora in poi ce lo dovremo scordare, soprattutto al Nord, nelle province più colpite dal Covid-19 dove secondo l’Istat lo scenario futuro è destinato a mutare proprio a causa dell’ondata di mortalità. La stima è suscettibile di assestamenti, dice l’Istituto di statistica, ma intanto l’aspettativa di vita, in alcune zone dell’Italia settentrionale, tra cui anche a Torino, calerebbe di circa due anni (in media) arrivando a 82 “primavere”. Ma nel caso di Bergamo, dove l’incidenza dei decessi ha superato il 40%, la speranza di vita alla nascita si ridurrebbe di oltre 5 anni. Ciò significa che l’invecchiamento della popolazione, dato che sembrava acquisito con il progresso scientifico, non è poi così scontato.

Intanto il numero dei contagi da Covid-19 rilevati nel monitoraggio settimanale effettuato dall’Istituto superiore di sanità e dal ministero della Salute è in leggero aumento in undici regioni tra cui il Lazio dove l’indice Rt torna, purtroppo, sopra il livello 1. Scendono ancora, comunque, l’incremento giornaliero dei decessi che ieri sono stati 47, cioè 19 in meno rispetto a giovedì, e i ricoveri in terapia intensiva che calano di 7 unità (gli “intubati” ora nei reparti di rianimazione negli ospedali italiani a causa di crisi respiratorie dovute al coronavirus sono in tutto 161). I nuovi casi positivi, che su tutto il territorio nazionale risultano 251, si sono registrati per la maggior parte in Lombardia (157, 94 dei quali derivano da test sierologici) e in Emilia Romagna (27) che rimangono però al di sotto del livello di guardia rappresentato, appunto, da un “Rt” pari a 0.

Ma è la situazione nella Capitale a preoccupare di più, con 9 casi in tre focolai. E in particolare è il cluster scoppiato nell’Irccs San Raffaele Pisana, a Roma, nel quartiere della Garbatella (in totale i malati di coronavirus qui sono 114) ad aver fatto salire sopra a 1,12 l’indice del Lazio (il che vuol dire che in questa regione un positivo ha contagiato, nella media, più di una persona). Non esiste però il rischio di una crescita esponenziale della curva epidemica perché i tre focolai nell’area metropolitana di Roma sarebbero «sotto controllo », grazie anche al lavoro di tracciamento dei contatti stretti che ha portato ad eseguire più di cinquemila tamponi negli ultimi giorni. Dall’ultimo report dell’Iss e del ministero si deduce che l’incidenza complessiva della Sars-Cov 2 dall’8 al 14 giugno (il periodo a cui si riferisce il monitoraggio) è di 6.03 per 100mila abitanti e anche se c’è un lieve aumento del numero dei nuovi casi diagnosticati rispetto al quadro emerso nel precedente rilevamento, non vi sono «segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali».

«Per quanto il lockdown sia stato efficace, è meglio essere ancora un po’ prudenti, perché il virus mostra di essere ancora capace di trasmettersi» commenta Vittorio Demicheli, direttore sanitario dell’Ats di Milano e rappresentante delle Regioni nella “cabina di regia” che coordina il monitoraggio. Ma ecco nel dettaglio, i livelli di Rt (l’indice che misura la velocità di diffusione del virus) a seconda dei territori: la Lombardia si ferma a 0,82 registrando un miglioramento rispetto allo 0,90 della scorsa settimana, il Veneto segna 0,69, mentre più alte sono Sicilia (0,72) e Toscana (0,74); il Piemonte ha un Rt di 0,56, più o meno come Abruzzo (0,57) e Marche (0,59). Sale da 0 a 0,1 la Basilicata, mentre tocca lo zero l’Umbria. Molto basse le curve in Sardegna (0,03) e Calabria (0,04). «In alcune realtà regionali, continua ad essere segnalato un numero di nuovi casi di contagi da Sars-Cov2 elevato e questo deve invitare alla cautela in quanto denota che in alcune parti del Paese la circolazione del virus è ancora rilevante», si legge nella relazione resa nota ieri. «La situazione epidemiogica del Paese resta buona – rassicura il direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute, Gianni Rezza – anche se si è registrato un lieve aumento di nuovi casi positivi in alcune aree del Paese dovute per lo più ad una maggiore attività di screening».

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