domenica 26 giugno 2022
L’ex titolare della Farnesina: vedo un’incoerenza morale nella linea dei governi. E troppa enfasi sul sostegno militare
Enzo Moavero Milanesi

Enzo Moavero Milanesi

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Col suo passato da tre volte ministro (prima degli Affari europei, poi degli Esteri nel tormentato governo M5s-Lega), Enzo Moavero Milanesi è per abitudine un certosino 'scrutatore' di ogni testo scaturito dai summit europei. Forte di questa esperienza, all’indomani dell’ultimo Consiglio Europeo che apre le porte della candidatura a Ucraina e Moldova e alla luce del quadro bellico di questi mesi confessa «stupore» davanti a una constatazione: «Da febbraio ci sono stati ben 5 vertici fra i leader Ue: le conclusioni formali segnano un crescendo nell’appoggio all’Ucraina aggredita dalla Russia, che da maggio diventa esplicito anche verso il sostegno militare, mentre non c’è nessun riferimento alla pace. Né come auspicio, né come obiettivo, né come meta di ultima istanza. È citata solo nelle conclusioni del vertice di maggio, ma con riguardo all’incremento del sostegno militare nell’ambito dello “strumento europeo per la pace'».

Quali conclusioni ne trae?

Francamente mi colpisce che, negli atti recenti dell’Ue, non sia nominata proprio la pace che sta nel cuore del suo dna. Sparito il termine, la domanda diventa allora: qual è l’orientamento della bussola Ue?
Rischia di essere additato anche lei come filo-putiniano...

Per carità! Non discuto la linea Ue e Nato. Per giunta, sono perfettamente conscio delle enormi difficoltà di impostare un negoziato e anche di proporlo. So bene che dai pochissimi tentativi finora non è scaturito nulla. Stupisce però la coltre di silenzio. Solo al vertice di febbraio c’è un riferimento al fatto che i conflitti andrebbero risolti 'esclusivamente attraverso il dialogo e la diplomazia', poi più nulla. C’è un’insufficienza comunicativa, forse un’incoerenza morale. Con un’analogia sul versante sanzioni: non potevano non esserci, ma restano parziali, dati i noti rischi di penuria energetica. E così l’Europa continua a comperare gas russo, finanziando chi vuole contrastare.

Intanto il Consiglio Ue ha detto sì a Kiev e Chisinau.

Il riconoscimento del loro status di Paesi candidati rappresenta una scelta politica deliberata: inedita, per la rapidità e per la situazione particolare in cui si trovano i due Paesi.

Era un esito scontato?

Meno di quanto si pensi, potevano esserci opposizioni. In ogni caso, ora va intrapreso il percorso di puntuale adeguamento dei due candidati a tutti i principi del sistema Ue. Penso tuttavia che ci sia un altro punto: quando l’Ue è in una situazione straordinaria, talvolta riesce a fare dei salti di qualità, come per il Recovery plan dopo la pandemia. Ma più spesso rimane anchilosata fra mosaici di distinguo e stalli difficili da capire se non per i diretti interessati, come si è visto in quest’ultimo vertice.

Allude ai temi dell’energia?

Sì. Noi cittadini abbiamo timori concreti, ai quali il vertice non ha dato una vera risposta. Non ha accolto l’iniziativa italiana, ma neppure c’è qualcos’altro. L’Europa non scopre oggi di essere dipendente dall’estero sull’energia, lo sa almeno dagli shock degli anni ’70. E cosa si è fatto in 50 anni? Perché, ad esempio, non è stato utilizzato il trattato Euratom, che avrebbe permesso di impostare una politica comune sul nucleare, con al centro la sicurezza e l’efficace smaltimento delle scorie?

Sono i limiti della Ue?

La dipendenza strategica dall’estero si sta acuendo in modo drammatico nelle materie prime essenziali per l’agroalimentare, per tante industrie e per il settore digitale. È fallita la famosa 'strategia di Lisbona' del 2000, imperniata sulla società dell’informazione e le nuove tecnologie. La stessa politica agricola comune, nata per garantire l’autosufficienza alimentare, ha finito col creare nuove dipendenze dopo che l’Ue ha spinto a ridurre le produzioni per porre fine alle eccedenze.

L’Unione non sa decidere?

Sovente è così, se il tema è sensibile ed è raro il colpo d’ala. Le prassi e molte regole sono inadatte a decisioni rapide davanti a cambiamenti repentini. L’Unione incide poco su fenomeni esogeni come le grandi migrazioni, le nuove tecnologie: gli equilibri economici mondiali sono cambiati a scapito dell’Europa. Il cittadino si aspetta di più ed è insoddisfatto, salvo ritrovare fiducia se c’è qualche decisione: ma è un’altalena che non giova.

È colpa dell’unanimità?

È un problema ma viene troppo enfatizzata, perché su energia, agricoltura, ambiente, tecnologie, sistemi di tlc e perfino migranti le decisioni possono essere prese a maggioranza, ma ci sono flagranti lacune. L’Ue è cresciuta con la capacità da alchimista di costruire compromessi: lo si vede da certe direttive, che non si capisce più se davvero sostituiscono 27 normative nazionali con una europea. Il problema nodale è che l’Unione, con la sua natura ibrida, inclassificabile, è pressoché al capolinea. Se non risolviamo la questione chiave di che cosa è costituzionalmente, non teniamo più il passo delle sfide che abbiamo davanti.

Per questo Macron ha proposto la «comunità politica europea».

Non so se sia una soluzione. Sembra un club allargato, ma cosa vuol dire 'offrire una piattaforma di coordinamento politico'? Anche il nome è fuorviante. Forse pochi ricordano che ai primordi della costruzione europea, in parallelo alla Ced, la Comunità della difesa, su spinta di De Gasperi e Spinelli si negoziò la nascita proprio di una 'comunità politica europea', ma si arenò come la Ced. Ma quella era una grande idea di un’Europa federale o confederale, con un cuore politico pulsante. Anche ora ci serve un assetto costituzionalmente riconoscibile, con tutti i pesi e contrappesi, che dev’essere scelto e votato dai cittadini.

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