mercoledì 30 marzo 2016
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La famiglia Regeni ha rotto il silenzio per chiedere massima trasparenza sull’omicidio del figlio. Messaggio anche all’esecutivo: intervento necessario, se anche il vertice del 5 aprile dovesse andare a vuoto Manconi (Diritti umani) attacca: «Richiamare l’ambasciatore e dichiarare l’Egitto uno Stato a rischio» ROMA «L’ho riconosciuto dalla punta del naso. 'È lui!', ho detto a mio marito entrando in obitorio. Per tutto il resto del viso non era più lui». Le parole di Paola Regeni fanno calare il gelo nella sala Nassiryia del Senato, traboccante di telecamere, giornalisti e corrispondenti di testate straniere. La tragica fine di Giulio Regeni diventa un caso diplomatico con l’Egitto, Paese ritenuto amico. Le parole di quella mamma affranta arrivano nel Palazzo come una scossa di terremoto. Affranta, ma che sa di non potersi permettere il dolore esibito. Non ora. Ora che ne stanno inventando una dopo l’altra per minimizzare o, peggio, per buttarla su di lui, sul povero Giulio. Quasi se la fosse cercata, legato ai servizi o dedito alla droga. «Ho il blocco del pianto», dice, mamma Paola. «Forse mi sbloccherò quando riuscirò a capire cosa è successo a mio figlio». Quel volto sfigurato. Una conferenza stampa segnata, paradossalmente, da un’immagine che i genitori non hanno voluto esibire, ma è tremendo già solo immaginarla. «In un primo momento avevamo accettato il consiglio di evitare di vederlo così, per poterlo ricordare come l’avevamo lasciato. Ma poi ci è parso vile evitare di vedere tutto quel che ha subito». Un volto «piccolo piccolo», irriconoscibile. «Non vi dico che cosa gli hanno fatto, in quel viso ho visto tutto il male del mondo». E ora c’è un intero Paese a farsi la stessa domanda: perché? Un ragazzo felice. Non si era ficcato nei guai, non era preoccupato. Anzi. «Giulio stava passando un periodo molto felice della sua vita, sia dal punto di vista di vista personale che del lavoro », racconta Claudio Regeni, papà nel cui sguardo – al netto dei capelli mancanti – riconosci quello del ragazzo solare che non c’è più. «Giulio faceva ricerca: non era un giornalista, non era una spia, era un ragazzo contemporaneo o forse del futuro, visto che le sue idee non sono state capite», dice la mamma con amarezza. Con i vestiti del papà. Escluso l’uso di droghe, come conferma la perizia tossicologica. Prima le torture («Protratte per giorni, con tecniche che non sono della criminalità comune», spiega l’avvocato che segue il caso per conto della famiglia, in attesa di aprire una corrispondenza con uno studio di colleghi al Cairo) poi il tentativo di infangarne la memoria. Per essere una spia poi, come pure si è tentato di insinuare, non se la passava benissimo. «Sul suo conto c’erano poco più di 800 euro, e per risparmiare riciclava spesso i vestiti del papà», ricorda ancora il legale della famiglia. «Avevamo contatti abbastanza frequenti e anche, profondi, intimi, con nostro figlio: ci raccontava anche con chi aveva contatti al Cairo – spiega il padre Claudio – nessuna di queste informazioni lasciava nemmeno lontanamente pensare, a un lavoro sottobanco». Il vertice del 5 aprile. Lo sguardo è rivolto al prossimo 5 aprile, nella convinzione che trattandosi di un vertice a livello di investigatori e di polizia – e non di procure, è stato chiarito – sia difficile aspettarsi la svolta decisiva, dopo che una squadra di agenti di polizia e carabinieri italiani si era recata in Egitto per affiancare le indagini, lamentando di non aver ricevuto grande collaborazione. «Attendiamo i tabulati telefonici, eventuali video girati vicino alla metro e nel luogo di ritrovamento del corpo, e i verbali di interrogatorio », spiega l’avvocato». Ma «se il 5 aprile sarà un’altra giornata vuota, confidiamo in una risposta forte del nostro governo, ma forte», chiede mamma Paola. Lasciando intendere che se fosse necessario, di fronte a ulteriori resistenze, quel volto sfugurato, finora tenuto celato, potrebbero anche essere costretti a esibirlo. «Richiamare l’ambasciatore». Che fare, allora? Luigi Manconi, che ha avuto il merito – da presidente della Commissione per i diritti umani – di aver organizzato questo incontro ritiene che la misura più appropriata sia il «richiamo, non il ritiro – precisa –, per consultazioni, del nostro ambasciatore. Per reagire a una menzogna come quella che il ministero dell’Interno egiziano ha voluto diffondere, con qualche tratto di oscenità». E a ulteriore sollecitazione di un cambio di rotta, Manconi ipotizza che da parte dell’unità di crisi della Farnesina si possa arrivare a dichiarare l’Egitto «Paese non sicuro», con ripercussioni sui flussi turistici che potrebbero pesare. Viene chiesto ai genitori se non sia il caso di pensare a misure più dure. Ma per Paolo e Claudio va bene così. Non vogliono liti ma la verità. «Qualcuno che ha detto che Giulio è stato trattato come un egiziano», nota la mamma. «E in effetti per lui – che parlava correntemente 5 o 6 lingue – era proprio così, in tutte le parti del mondo in cui è andato si sentiva a casa sua». Anche in Egitto, dove è stato torturato e ucciso. © RIPRODUZIONE RISERVATA La conferenza stampa dei genitori al Senato con il parlamentare Luigi Manconi
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