giovedì 19 maggio 2022
Il figlio di 32 anni, Mario, è disabile dalla nascita per i danni subiti durante il parto. Ma la Corte d'appello non li ha riconosciuti e ora chiede alla donna un risarcimento impossibile
Elena, la mamma caregiver (senza giustizia) condannata a pagare 276mila euro
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Non basta entrare nell’esercito invisibile degli oltre 7 milioni di persone (pari a circa il 15% della popolazione) che ogni giorno nel nostro Paese sono impegnati nel “caregiving informale”, cioè nelle cure e nell’assistenza prestata ai propri familiari. Pensate: la maggior parte di queste persone ha più di 50 anni, uno su cinque più di 60. E occuparsi di un malato, o di un disabile, è particolarmente oneroso, come dimostrano non solo le storie scolpite nella carne dei caregivers, ma decine e decine di ricerche condotte in questo ambito. Non basta, dunque, accettare una vita al servizio, e non basta nemmeno sopportare che il nostro Paese ancora non riconosca questa scelta e non la tuteli dal punto di vista giuridico, con una lege da anni in discussione in Parlamento. Bisogna anche sopportare la lentezza del burocrazia, le lacune dell’assistenza sanitaria e – a volte – le ingiustizie.

È toccato a Elena Improta, caregiver e fondatrice della onlus Oltre Lo sguardo, «mamma di un giovane uomo di 32 anni affetto da una gravissima disabilità, oltraggiato dall’esito ad oggi di una causa civile di risarcimento per i danni subiti al parto, iniziata nell’aprile 1996 presso il Tribunale di Roma». Le parole sono le sue, Elena le ha usate nella lettera che ha mandato qualche giorno fa al capo dello Stato Mattarella. Una lettera piena di dolore, di sdegno, di umiliazione per la sentenza della Corte d’Appello che non solo le dà torto, ma la condanna al pagamento delle spese processuali. E un processo durato 26 anni costa caro: per l’esattezza, 276mila euro. Una spesa smisurata e insostenibile, soprattutto quando tutte le risorse di una mamma sono state impegnate nell’assicurare un «Dopo di lei» a suo figlio e ad altri ragazzi come lui: Elena con questo progetto s’è trasferita da Roma a Orbetello, per fondare e gestire qui un cohousing ritagliato sulle necessità e sul diritto al futuro di queste persone.

«Il diritto di Mario ad un giusto processo è stato innanzitutto violato e calpestato da 26 anni di causa – continua nella lettera – devastanti da un punto di vista emotivo, psicologico ed economico, durante i quali ho sempre mantenuto fiducia nella Giustizia. Oggi, per la prima volta in questi 26 anni di silenziosa e fiduciosa sofferenza, alla vigilia del mio 59esimo compleanno, sono costretta a dare voce al mio sgomento ed incredulità davanti all’esito incomprensibile della causa in sede di rinvio». Ricorda, sinteticamente, le diverse tappe di questo lunghissimo processo: nel 2017, «dopo un primo grado e un appello la domanda di risarcimento per difetto di prova del nesso causale, una sentenza del 2017 della Corte di Cassazione riconosceva che doveva ritenersi provata l’esistenza di nesso causale tra la condotta omissiva dei medici e la patologia subita dal paziente».

Oggi, a distanza di cinque anni da quella sentenza e di 26 dall’inizio dell’iter processuale, «la Corte di Appello ribalta le conclusioni della Corte di Cassazione, respinge il risarcimento e condanna me e Mario al pagamento delle spese. Non posso credere che questa sia Giustizia! Mi appello a voi, presidente Mattarella. presidente Draghi, ministro Cartabia. Ho speso la mia esistenza a tutelare i diritti di Mario e non solo. Ora sono molto provata e stanca, sono traumatizzata da questo evento che mi toglie energia per poter prendermi ancora cura di Mario, sono spaventata e morta dentro». Elena farà nuovamente ricorso in Cassazione, «ma resta l’umiliazione di una madre e di un figlio, restano pochi anni davanti a noi e spenderli con questa prospettiva mi annienta. La magistratura non può permettere tutto questo dopo 26 anni! Come ridurre i tempi della giustizia civile? Come velocizzare questi procedimenti?». Conclude amaramente: «I medici in sala parto hanno tolto a Mario l’opportunità di essere una persona neurotipica, i giudici gli stanno togliendo l’opportunità di vivere dignitosamente da persona con disabilità, peraltro da sempre generosa e pronta ad aiutare altre persone con disabilità, come abbiamo ampiamente dimostrato negli ultimi 16 anni». La lettera è firmata: «Io e Mario due volte oltraggiati».

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