martedì 15 giugno 2021
Alberto Siracusano, ordinario di Psichiatria e membro del tavolo Cei della salute mentale: queste tragedie possono accadere laddove si creano situazioni di vuoto rispetto alla sofferenza psichica
Mazzi di fiori sul luogo dove domenica sono stati uccisi i due bambini e l'anziano ad Ardea

Mazzi di fiori sul luogo dove domenica sono stati uccisi i due bambini e l'anziano ad Ardea - Ansa

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Professore, che idea si è fatto del caso Pignani?

Purtroppo – dichiara Alberto Siracusano, ordinario di Psichiatria all’Università di Tor Vergata, membro del tavolo della salute mentale della Cei – è drammaticamente vero che queste tragedie possono accadere laddove si creano delle situazioni di vuoto rispetto alla sofferenza psichica.

In altre parole, il malato è stato lasciato solo?

Sembrerebbe così, ma vorrei evitare il solito processo sommario alle istituzioni...

In che senso?

È facile attribuire la colpa a qualcuno mentre la cosa più importante – oltre ad aiutare i sopravvissuti – è capire cosa non ha funzionato, perché non si verifichi nuovamente.

Cominciamo dal Tso, ancora controverso: questo era un caso da Tso?

Guardi, sarà difficile rispondere a caldo. Sicuramente dobbiamo interrogarci sul Trattamento sanitario obbligatorio, in quanto si tratta di uno strumento del 1978 che dev’essere ammodernato. Ha delle criticità: alla base ci sono tre elementi, una situazione di acuzie clinica importante, l’accettazione della terapia, che nel caso di un malato mentale non è scontata; il fatto che non ci siano altre condizioni di cura. Il Tso nasce prima del consenso informato, in cui la persona si autodetermina e sceglie un proprio percorso di cura, ma mentre un malato di cancro può rifiutare la radioterapia, non è altrettanto semplice riconoscere il consenso informato nella patologia psichiatrica, in cui non sempre la persona è consapevole di ciò che ha bisogno. Rischiamo cioè di sospendere i suoi diritti oppure di non prestargli le cure cui ha diritto.

Però la gente si chiede perché una persona pericolosa se ne vada a spasso con un’arma...

La malattia psichiatrica e la pericolosità non sono una evidenza scientifica ma uno stigma. I servizi psichiatrici non devono esercitare la custodia ma curare le persone: va ribadito, anche in questo caso, che bisogna curare chi ha una sofferenza psichica mettendo le strutture del Ssn in condizione di affrontare e di offrire i percorsi di cura necessari. Altrimenti – lo dico con il massimo rispetto delle vittime – è un processo sommario a un malato.

Comprenderà che non tutti si accontenteranno di questa risposta.

Comprendo che in casi come questo si cerchi la colpa, ma io vedo una famiglia isolata e servizi pubblici – in cui è conclamata la carenza di risorse, di psichiatri e infermieri – che non sono riusciti a individuare un bisogno e a rispondervi. Purtroppo, esistono persone che sfuggono ai dipartimenti di salute mentale e anche in questo caso non si è adeguatamente curato chi doveva essere curato.

Dovremmo riesaminare la legge 180?

Indubbiamente, se facciamo l’equivalenza tra disturbo psichico e pericolosità sociale e chiudiamo tutti dentro i manicomi, potremo sentirci più tranquilli, ma abbiamo già assistito in passato al dramma di cosa significa manicomio. Mettere sotto processo la legge Basaglia, come sta avvenendo, non è la soluzione. Il problema è semmai quello di avere le risorse adeguate per applicare i percorsi di cura e non fare un salto indietro nel passato, tendenza che troppo spesso prende il sopravvento in questi casi.

Cosa sta facendo il tavolo della Cei?

Abbiamo lavorato sui fattori di rischio della salute mentale, anche per aiutare gli operatori a farsi carico dei problemi; ora una delle attenzioni è rivolta a non lasciare sole le persone e a trovare grazie a telemedicina e telepsichiatria nuove forme di assistenza più efficaci.

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