mercoledì 18 maggio 2016
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MILANO Severino Antinori si è più volte vantato d’essere un «medico famoso ». Lo ha fatto con la ragazza che lo accusa di avergli 'rapinato' gli ovuli e lo ha ribadito, secondo il gip, agli agenti di polizia che tentava di scoraggiare dal ficcare il naso negli affari della clinica. Talmente famoso che, a suo dire, sarebbe vittima di un complotto arabo. «Era una dell’Isis – ha detto il ginecologo riferendosi alla giovane che lo ha denunciato –. Lei l’ha buttata su quella cosa (la 'rapina' di ovociti, ndr) perché l’ho scoperta». Antinori, che continua a rilasciare dichiarazioni dagli arresti domiciliari, dove si trova per l’accusa di aver prelevato 8 ovuli alla giovane spagnola contro la sua volontà, rischia ora di finire in carcere proprio per aver violato l’ordine del silenzio. Il pm di Milano titolare dell’indagine, Maura Ripamonti, aveva chiesto il suo arresto. Il gip Giulio Fanales ha invece stabilito di sottoporlo a una misura cautelare meno afflittiva, quella degli arresti domiciliari, «con il divieto - è specificato nell’ordinanza - di comunicare con persone diverse da coloro che colui coabitano o lo assistono». Una prescrizione che il ginecologo non ha rispettato in almeno un paio di occasioni. E ieri anziché sottrarsi alle domande dei giornalisti, Antinori ha rincarato la dose accusando la sua presunta vittima - la 24enne spagnola di origini marocchine - di essere una militante dello Stato islamico, senza però spiegare per quali ragioni il Califfato avrebbe mai dovuto prenderlo di mira. Ma le vicende giudiziarie del medico determineranno anche il futuro degli embrioni sequestrati e attualmente custoditi presso la clinica Mangiagalli di Milano. La difesa del ginecologo ha fatto ricorso al tribunale del Riesame per chiedere non solo la revoca della misura cautelare, ma anche il dissequestro della clinica con tutto il materiale biologico che vi era conservato, tra cui anche i quattro embrioni che erano pronti ad essere impiantati su tre donne e che sono già stati sequestrati dopo la denuncia dell’infermiera spagnola. Gli embrioni, stando a quanto è stato spiegato da fonti vicine all’inchiesta, sono ritenuti «corpi del reato». Ma anche in questo caso i giudici si trovano davanti un caso inedito, perché non sono gli 'embrioni' ad essere stati 'rapinati' ma, secondo l’impianto accusatorio, gli ovuli che poi sono stati fecondati ottenendo gli embioni che appartengono in parte alla giovane spagnola e in parte agli uomini delle tre coppie che avevano intrapreso un percorso di fecondazione eterologa. Proprio queste tre coppie, così come la 24enne di origini maghrebine, potrebbero avere il diritto di reclamare gli embrioni. Fino a quando il procedimento giudiziario non verrà completato, e potrebbero volerci anni, gli embrioni dovranno però restare nella disponibilità della magistratura. Nell’ambito dell’inchiesta si sta redigendo l’inventario di tutto il materiale biologico sequestrato nella clinica ed ora conservato alla Mangiagalli. Su questo materiale è possibile fare istanza di restituzione da parte dei legittimi proprietari, ma anche in questo caso i tempi saranno molto lunghi. © RIPRODUZIONE RISERVATA GINECOLOGO. Severino Antinori
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