venerdì 2 dicembre 2016
La riduzione dei costi è uno dei cardini della riforma più sbandierato dal governo. Ma sul punto le interpretazioni divergono.
La riforma e la «dieta» della politica. Ma sui numeri è guerra
COMMENTA E CONDIVIDI

La battaglia sui costi della politica si sintetizza in due numeri: 500 contro 160. Cinquecento milioni è la stima dei risparmi fatta dal premier Matteo Renzi mettendo insieme tutte le misure di contenimento inserite nella riforma costituzionale. Per chi si oppone - ma anche per alcuni tecnici della spesa pubblica - l’impatto è più basso, sui centosessanta milioni di euro. Insomma, i più 'ottimisti' parlano di un risparmio di 8 euro all’anno per ogni cittadino. I 'pessimisti', invece, ritengono che a ciascun italiano la politica, con l’approvazione della riforma costituzionale, costerà solo 2,5 euro in meno.

PER PALAZZO MADAMA CIFRE (QUASI) CERTE
Palazzo Madama costa ai contribuenti più di 300 milioni l’anno. Molti di questi costi, ovviamente, non spariranno dalla sera alla mattina. I lavoratori e i funzionari del Senato continueranno a prendere lo stipendio, dividendosi tra le due Camere insieme ai loro colleghi di Montecitorio. Anche tante altre spese fisse non possono essere cancellate con la bacchetta magica. Il risparmio, dunque, nasce quasi interamente dalla riduzione del numero dei senatori da 315 a 100. La riforma costituzionale dice che per loro non è più prevista l’indennità, per un totale di 33 milioni di soldi pubblici in meno. Se fossero cancellate anche tutte le varie voci di rimborso, si arriverebbe a quasi 80 milioni in meno. Saltano sicuramente anche i rimborsi ai gruppi parlamentari, che in una Camera che rappresenta le autonomie locali non hanno più senso: si tratta di 20 milioni di euro. Dovrebbero diminuire, per una stima di 20 milioni di euro, anche le spese di funzionamento. Ma qui ci sono dubbi, perché il nuovo profilo del senatore che raggiunge Roma un paio di volte al mese prevede che vengano aumentati gli investimenti per i lavori di studio e segreteria, altrimenti i parlamentari di Palazzo Madama non avrebbero gli strumenti per svolgere il proprio lavoro. Va detto che, per quanto lo stipendio del senatore coincide con quello del consigliere regionale da cui proviene, è immaginabile che a lui comunque arrivi un rimborso per le spese di trasferimento e alloggio, al momento non quantificabili. Al netto di questi ragionamenti, i litiganti del Sì e del No concordano su una diminuzione di costi, a regime, intorno ai 100-130 milioni di euro all’anno. A questi numeri arriva, ad esempio, l’economista Roberto Perotti, per alcuni mesi commissario alla spending review alle 'dipendenze' del governo Renzi (la fine del rapporto di collaborazione è stata abbastanza tumultuosa, in ogni caso lo studioso della Bocconi ha scritto un ricco articolo sui risparmi della riforma sul sito specializzato lavoce. info.

CNEL, PIÙ UN SIMBOLO CHE UN RISPARMIO
Va detta la verità: l’abolizione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è più il 'simbolo politico' della volontà di tagliare 'enti inutili' che non una reale operazione di spending review. In principio si è parlato, un po’ avventatamente, di una riduzione di oltre 20 milioni di euro. Una cifra che però contiene gli stipendi degli addetti al Cnel, che andranno a rafforzare la Corte dei conti. Si è scesi dunque via via (fonte Ragioneria dello Stato) a una riduzione di costi di circa 8-9 milioni, che è anche l’ultima cifra fornita da Renzi in televisione. In realtà Perotti abbassa ancora la stima a 3 milioni, in considerazione del fatto che tanti tagli sono già avvenuti con legge ordinaria in sede di manovra finanziaria. Per il Cnel, insomma, si tratterebbe dell’ultima, definitiva potatura dopo i diversi sfoltimenti che già si sono susseguiti.

CONSIGLIERI REGIONALI, NUMERI ED ESITI BALLERINI
Guardando la riforma conl microscopio, la certezza assoluta in merito ai Consigli regionali sta nelle 'disposizioni transitorie' del nuovo testo: i gruppi parlamentari non riceveranno più contributi, con un risparmio che - secondo Renzi - supera i 30 milioni di euro; stando invece alle stime di Perotti si ferma al massimo intorno ai quindici. Poi nella Carta entrerebbe un criterio importante: gli emolumenti dei consiglieri regionali non dovranno essere superiori allo stipendio del sindaco del rispettivo comune capoluogo. Se per 'emolumenti' si intende sia l’indennità di carica sia il rimborso per l’esercizio del mandato si avrebbe una riduzione di costi pari a un importo compreso fra i 17 e i 20 milioni di euro secondo Perotti, di altri 36 milioni stando invece alle ultime affermazioni del presidente del Consiglio, come sempre più ottimistiche. Se invece per 'emolumenti' si intende una versione più ristretta, ovvero non comprensiva anche dei rimborsi legati all’esercizio del mandato, il risparmio sarebbe nullo per la semplice motivazione che già attualmente diversi Consigli regionali prevedono uno 'stipendio fisso' che risulta inferiore a quello del proprio sindaco di riferimento.

PROVINCE: NUOVI RISPARMI O CONTABILIZZAZIONE DI QUELLI GIÀ REALIZZATI?
Se fino a questo punto dell’analisi i conti di Renzi e quelli di chi studia i conti pubblici procedono con distacchi non eccessivi, il vero punto dirimente arriva con le Province, che verranno 'cancellate' dalla Costituzione. Renzi afferma che l’operazione realizza 350 milioni di risparmi. Tuttavia, si osserva che le Province, di fatto, sono già 'sparite' dall’ordinamento con la riforma Delrio che ha cancellato le elezioni, eliminato gli emolumenti degli organismi politici e ridotto le funzioni (con annesso trasferimento di compiti e personale a Comuni, Regioni, tribunali...). I 350 milioni indicati da Renzi sono la stabilizzazione del taglio già operato da Delrio oppure una nuova riduzione di costi? La prima versione appare più fondata. Per questo motivo, i conti del premier arrivano a 500 milioni e i conti degli altri si fermano intorno ai 160 milioni.

LA STIMA (IMPOSSIBILE) DEI RISPARMI IMMATERIALI
C’è un’altra carta che 'il fronte del Sì' ha giocato nella partita referendaria, quella dei risparmi immateriali. Un elenco che comprende, ad esempio, l’eventuale riduzione del contenzioso tra Regioni e Stato centrale dinanzi alla Corte costituzionale e l’effetto positivo della 'sburocratizzazione' del Paese. Insomma, i sostenitori della riforma ritengono che le modifiche al titolo V porteranno gli investitori a portare risorse nel Paese perché «ora sappiamo chi decide e a chi spetta l’ultima parola». Il fronte del «no» prevede al contrario un aumento del contenzioso e anzi la nascita di un nuovo conflitto, quello tra Camera e Senato, quando ci sarà da legiferare su materie per le quali entrambe reclamano diritti. La verità è che questi ragionamenti potranno essere svolti sono quando la riforma sarà attuata e pienamente a regime.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI