martedì 2 settembre 2014
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I 'senza lavoro' dimezzati in meno di dieci anni e il tasso di disoccupazione più basso d’Europa. Secondo gli ultimi dati Eurostat (riferiti a luglio), grazie alla riforma Hartz del mercato del lavoro, varata tra il 2003 e il 2005, la Germania ha affrontato meglio degli altri Paesi europei la crisi economica, riuscendo a ampliare la base occupazionale. Un risultato riconosciuto dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, che ha nuovamente citato il mercato del lavoro tedesco definendolo «un modello e non un nemico», sottolineando la necessità di rendere il nostro sistema più simile a quello di Berlino. Secondo l’Eurostat, tra il 2007 e il 2013, in Italia il tasso di disoccupazione è aumentato dal 6,1% al 12,2%, mentre in Germania è diminuito dall’8,7% al 5,3% (era al 10,5% nel 2004). Inoltre, come detto, a luglio 2014 il tasso dei 'senza lavoro' in Germania è stato registrato a quota 4,9%, il più basso in Europa. Secondo gli analisti, la diminuzione della disoccupazione tedesca è stata possibile grazie alla riforma Hartz, che prende il nome dall’ex consigliere d’amministrazione della Volkswagen che, sotto il governo Schroeder, elaborò fra il 2003 e il 2005 una serie di provvedimenti, rilanciato il welfare anche grazie a sussidi di disoccupazione universali (estesi a chiunque dimostri di essere in ricerca attiva di lavoro: i disoccupati vengono sollecitati con proposte che, se non accettate, decurtano progressivamente l’indennità). Oltre a buoni per la formazione, job center e agenzie interinali, la riforma ha introdotto nuove formule contrattuali: i «minijob », precari, poco tassati, senza diritto a pensione o assicurazione sanitaria; i «midjob», contratti atipici a 400 euro; i finanziamenti a microimprese autonome e un maggior sostegno per gli over-50 licenziati. Infine, nella «Hartz IV», è stato previsto un reddito di cittadinanza anche a chi non trova lavoro dopo gli studi, con contributi per casa, famiglia e figli, più un’assicurazione sanitaria. Il risultato è una situazione di mercato in cui l’alta flessibilità del lavoro (sul modello americano) convive con un sistema di welfare nord-europeo (con sostegni a chi dimostra di non trovare lavoro). Un mix che ha facilitato le assunzioni portando il costo del lavoro, prima cronicamente alto, a livelli così competitivi da rendere la Germania il secondo esportatore mondiale dopo la Cina, ma che di converso ha indebolito i consumi, al punto da spingere Ue e Usa a sollecitare a Berlino un aumento degli stipendi.
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