martedì 5 novembre 2019
Da Damiano Tommasi al vescovo Zenti, voci di una città che si ribella (dopo gli imbarazzi iniziali). Chiuso per un turno il settore dello stadio da cui sono partiti i cori razzisti domenica scorsa
L'abbraccio di compagni di squadra e avversari di Mario Balotelli dopo gli ululati razzisti (Ansa)

L'abbraccio di compagni di squadra e avversari di Mario Balotelli dopo gli ululati razzisti (Ansa)

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Il giudice sportivo della Serie A ha ordinato la chiusura per un turno del settore “Poltrone est” dello stadio Marcantonio Bentegodi di Verona come sanzione per i cori razzisti a Mario Balotelli durante Hellas Verona-Brescia di Serie A.

Appello a tutte le frange estreme e razziste delle Curve e ai rispettivi dirigenti delle società italiane, prima di arrivare all’ennesimo “caso Balotelli” e all’ultimo “fattaccio di Verona”, uno sguardo serio e coscienzioso alla Storia, da imparare e tramandare. Allora, per chi non si fosse sintonizzato, con la Storia, ricordiamo che domenica, proprio mentre cominciavano le partite della Serie A, se ne è andato per sempre Alberto Sed. Ex calciatore e dirigente del Maccabi Roma, il “Fornaretto ebreo” (per accostarlo al Totti di allora, Amedeo Amedei, il “Fornaretto di Frascati”) Sed era scampato al campo di sterminio nazista di Auschwitz. Sed era uno degli ultimi testimoni italiani della Shoah. Tra i rari testimoni dell’Olocausto per fortuna abbiamo ancora tra noi la senatrice a vita Liliana Segre, costretta alla soglia dei novant’anni a vivere sotto scorta per quell’antisemitismo che proprio dalle colonne di Avvenire nei giorni scorsi aveva denunciato chiedendo «di cancellare le parole dell’odio anche dagli stadi». Messaggio non pervenuto alla solita sporca dozzina ultrà. Quell’odio razzista, racchiuso nell’animalesco «buu-buu» della Curva forcaiola e che nell’ultimo periodo aveva già colpito illustri protagonisti del nostro campionato, i coloured Lukaku (Inter), Juan Jesus (Roma), D’Albert (Fiorentina) Koulibaly (Napoli) e Matuidi (Juventus), questa volta è “ritoccato” a Mario Balotelli. La zona calda del Bentegodi di Verona è andata a botta sicura per ferire l’orgoglio già segnato del signor Malaussène (il capro espiatorio di Pennac) del razzismo da ultimo stadio. Balotelli è tornato, e come aveva previsto in estate, dopo la sua cessione dal Marsiglia al Brescia, è ripreso a tamburo battente di Curva anche l’odio e la discriminazione razziale verso i giocatori di colore. Il suo gesto da “nevroromantico”, il pallone scagliato, dopo i «buu», contro la Curva degli ultrà dell’Hellas Verona (al minuto 54 di Verona-Brescia) ha scatenato mille reazioni e altrettante interpretazioni. Si va dalla minimizzazione pericolosa dell’allenatore del Verona Ivan Juric e del suo presidente Maurizio Setti, fino all’accusa a Balotelli di aver aizzato la gogna mediatica di una città che il sindaco Federico Sboarina difende a gran voce. «Io condanno ogni forma di razzismo ma siccome ero presente allo stadio, assieme ad altre 20mila persone, posso assicurare che nessuno ha sentito dei cori di quel tenore nei confronti di Balotelli e non posso accettare che oggi la città di Verona passi, nel mondo, come una città razzista».

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In merito ai cori ci sono le registrazioni audio e ieri è arrivata la reiterata, quanto violenta posizione del capo ultrà dell’Hellas Verona Luca Castellini (sotto Daspo fino al 2022, la cui interdizione dallo stadio è stata prorogata in queste ore fino al 2030) che dai microfoni di Radio Cafè ha tenuto a precisare: «Non ci sono capi, ma c’è una linea condivisa e seguita da tutti... (speriamo di no, ndr). Balotelli è italiano perché ha la cittadinanza italiana ma non potrà mai essere del tutto italiano. Noi abbiamo applaudito un giocatore di colore forte che ha segnato un gol (il millennial Eddie Salcedo, nazionale Under 19 di origini colombiane). Un negro? Certo, ci sono problemi? La commissione Segre mi viene a suonare al campanello se dico negro?». La senatrice Segre chiamata in causa, lapidaria risponde al volo alle dichiarazioni dell’“identitario” Castellini: «Nel 2019, ancora guardano il colore della pelle delle persone?». In quella Curva dell’Hellas purtroppo Castellini e quelli che tengono la “loro linea” lo facevano già nel lontano 1996, quando un tesserato del club scaligero, Maickel Ferrier, olandese originario del Suriname, nel derby contro il Chievo venne accolto dai suoi tifosi con un manichino con sotto la scritta «negro go away» e il cappio al collo. A sorreggerlo due uomini incappucciati, modello Ku Klux Klan. Questa non è certo la Verona in cui ha giocato e dove transita per tornare a casa nella natia Sant’Anna d’Alfaedo (lì gioca ancora con i suoi fratelli nella squadra del paese), il presidente dell’Assocalciatori Damiano Tommasi. «Inutile girarci intorno, se qualcuno fa il verso della scimmia a un giocatore perché è di colore, quello è razzismo: sento troppi “sì ma erano solo due”. Ma anche se sono solo due, sono troppi – condanna Tommasi – . Pochi sanno che il patrono, San Zeno, è un vescovo di colore, e che qui sono nati i comboniani e gli stimmatini attivi in Africa. Razzista non è una città, ma i comportamenti sì, quelli sono razzisti». Dalla basilica di San Zeno il vescovo Giuseppe Zenti gli fa eco: «Verona non è quella che si vede allo stadio. Verona è una città accogliente, inclusiva, ricca di associazioni di volontariato che non merita di essere infangata». La Verona del volontariato e che scende in campo, anch’essa tra i professionisti del pallone, proprio come l’Hellas e il Chievo (unica città con tre squadre in A, B e C) è la Vecomp. Club unico fin dalla gerenza: Luigi Fresco è il mister e anche il presidente della Vecomp Verona dal 1982. «Non mi sono mai esonerato», dice sdrammatizzando dall’oasi del calcio solidale veronese.

In tribuna ogni domenica alle partite della Vecomp Verona assistono decine di tifosi speciali, sono i migranti e i richiedenti asilo seguiti dall’annessa cooperativa sociale “Vita Virtus”, che già nel 1989 si occupava di sistemare gli albanesi e gli stranieri in città e all’interno della Polisportiva (500 ragazzi della scuola calcio e 200 atlete del volley femminile). «Con Zaccaria Tommasi che giocava nella Virtus e suo fratello Damiano (uno degli otre 800 obiettori formati da “Vita Virtus”), durante la guerra dell’ex Jugoslavia siamo andati a portare aiuto alle popolazioni della Croazia e del Kosovo», racconta Fresco che ha vissuto un caso simile a quello di Balotelli: «Quando eravamo in serie D i tifosi della Sambonifacese avevano insultato un nostro giocatore, Dimas, per il colore della sua pelle. Il giorno dopo sono andato di persona nel bar dove si ritrovavano quei tifosi. Mentre parlavo con loro sono entrati diversi stranieri, però nessuno dei tifosi si è sognato di dire qualcosa. Comunque – conclude – credo siano gli ultimi colpi di coda, gli episodi di razzismo sono in calo, e in ogni caso la società Verona Hellas non è connivente». Parola di mister Fresco, esponente della maggioranza veronese civilissima e antirazzista.

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