sabato 4 aprile 2020
Respinto il ricorso della partner di una donna il cui figlio è nato con la fecondazione eterologa
La Cassazione: non ci sono due "madri"

Ansa

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Solo una persona per la legge italiana «ha il diritto di essere menzionata come madre nell’atto di nascita, in virtù di un rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico e/o genetico con il nato». L’ha stabilito la Cassazione che ha respinto il ricorso di una coppia di donne omosessuali, unite civilmente. La partner della madre biologica, il cui figlio è nato in Italia ma è stato concepito all’estero con la fecondazione eterologa, aveva chiesto all’Ufficiale di Stato civile di essere riconosciuta anche lei come genitore. La richiesta era stata inizialmente respinta dal Comune di Treviso.

E poi confermata dal Tribunale di Venezia. Ieri la Cas- sazione ha spiegato che per la nostra giurisdizione, non ci sono possono essere “due mamme”. Secondo i giudici – presidente Giancola, estensore Lamorgese – il ricorso va rigettato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale che, nel giudicare non incostituzionale il divieto di accesso alla fecondazione assistita per coppie dello stesso sesso, ha sostenuto che alla radice del divieto si colloca «il trasparente intento di garantire che il suddetto nucleo riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre », escludendo che la procreazione medicalmente assistita possa rappresentare «una modalità di realizzazione del desiderio di genitorialità alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati».

Questa norma, aggiungono i supremi giudici, «è attualmente vigente all’interno dell’ordinamento italiano e, dunque, applicabile agli atti di nascita formati o da formare in Italia, a prescindere dal luogo dove sia avvenuta la pratica fecondativa». Deluse le due donne, difese dall’avvocato Alessandro Schuster, da tempo impegnato per la tutela delle coppie “arcobaleno”, che ora annunciano il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.


La sentenza segue di pochi giorni un analogo pronunciamento della Corte d’appello di Bologna

«Lo Stato pensa davvero che nostra figlia sia meglio tutelata con un solo genitore invece di due? La Corte di Strasburgo ha già detto che un bambino cresce bene anche con due madri, come accertato dalla scienza medica e condiviso in molti Paesi». Valutazione in realtà tutt’altro che condivisa dalle ricerche più obiettive ed comunque meritevole di essere ancora approfondita.

Dal punto di vista giuridico il punto sottolineato era già stato chiarito la scorsa settimana dalla Corte d’appello di Bologna, che si era pronunciata con un orientamento analogo alla Cassazione, sempre a proposito della richiesta di una coppia in cui la partner della madre biologica esigeva a sua volta la qualifica di madre dall’Ufficiale di Stato civile. I giudici bolognesi avevano spiegato che, secondo l’interpretazione ormai abituale dell’articolo 44 della legge 184/1983 – adozione in casi speciali – se non è possibile una “doppia maternità anagrafica”, è ormai consentita la strada della cosiddetta stepchild adoption, cioè l’adozione del partner del convivente. Interpretazione estensiva di una situazione che la legge sull’adozione non aveva certamente contemplato e che richiederebbe un intervento legislativo finalizzato a regolare una volte per tutte la questione spinosa della genitorialità omosessuale.

Non possono essere solo i giudici – una volta accusati di ricorrere a sentenze creativa e un’altra lodati per ragioni opposte – ad intervenire in questa materia umanamente delicata e antropologicamente complessa, con interpretazioni troppo spesso dissonanti

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